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E se facessimo una pentagonale per il Mediterraneo? L’analisi di Valori

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Per definire la cooperazione nel Mediterraneo, occorre stabilire alcune direttrici: c’è quella italiana, che arriva alla Libia ma che implica rapporti stabili anche con la Tunisia e l’Egitto, c’è quella russa, basata su un nesso geopolitico tra la Crimea e la Siria, per rendere sicuro il Levante mentre si opera nel Mediterraneo orientale. Poi c’è quella francese, che va dalle sue coste meridionali alla linea del Maghreb per poi passare sulle coste ovest dell’Africa e al loro interno. La Spagna, ovviamente, mette insieme la sua vecchia presenza africana, tra Ceuta e Melilla e il Sahara spagnolo, con i suoi interessi attuali: il rapporto preferenziale con il Marocco e la tenuta del Mediterraneo verso l’Atlantico e l’area orizzontale verso la Grecia. L’Italia? Non mi risulta nessuna idea, salvo qualche conato di politica estera verso la Libia, che non è quella che pensano i politici di Roma, malgrado l’ottimo lavoro laggiù dei nostri Servizi. Altro non v’è, nella strategia italiana nel Mediterraneo. L’Italia aiuta gli altri suoi concorrenti gratis, e poi crede che essi siano riconoscenti. Basti pensare al regalo fatto anni fa, quando il governo italiano dell’epoca cedette la quota di mare nostra sopra Sanremo e verso la Sardegna senza alcun contraccambio. Siamo buoni, tre volte buoni, con i paesi “democratici” ma poi ci portiamo dietro tutti i disastri degli altri, vedasi il caso dell’attacco alla Libia.

In Italia, non vi è politica estera perché siamo legati non alla “realtà effettuale” di machiavelliana memoria, ma alle sedicenti analisi dei quotidiani più diffusi. È questa la cultura di formazione delle nostre classi politiche, sulle questioni estere, tutta basata sull’oggi e sull’ovvio. E, comunque, il Mediterraneo geostrategico è in fase di cambiamento dei suoi riferimenti tradizionali, mentre sono entrati altri attori, e che attori. Penso alla Cina e alla già citata Russia, ma penso anche a Israele, dalla geopolitica sempre nel mare, quando invece si è costruito, manu militari, sulla terra. Siamo in una fase in cui Paesi come la Gran Bretagna e gli Usa hanno sempre una forte presenza, e nuova, nel Mare Nostrum, quindi il vecchio comparto “Euromed” non tiene più, mentre la fascia sahelo-sahariana permetterà una collaborazione tra Lega Araba, Ue e Unione Africana. Il sud africano sarà area egemonica della Federazione Sud-Africana. E qui arrivano gli interessi russi e israeliani. Soprattutto israeliani, perché Gerusalemme vuole rendere sicuro tutto il suo mare regionale e i nuovi giacimenti gazieri e petroliferi, oltre a poter rendere sicura una linea marittima tra la sua costa e l’Europa meridionale. La Russia intende essere presente nel mediterraneo meridionale, come estensione dei suoi rapporti con l’Iran e la Siria, che sarà ricostruita da Pechino, e penetrare il Grande Nord europeo, soprattutto la Groenlandia, ricchissima di petrolio e di minerali. E l’Italia, ripetiamo, come vuole garantire le sue rotte commerciali vitali? Basandosi sul buon cuore di Paesi amici o alleati? Mah! Siamo alla geopolitica della Buona Volontà, siamo in ambito teologico. La Russia si sta alleando con la Turchia, per la difesa dei Dardanelli e la proiezione verso il Mare Nostrum orientale, ma pensa in fondo all’egemonia regionale. La stessa cosa che vuole la Cina. In futuro, si troveranno d’accordo sulle spoglie del Mediterraneo imbelle che gli europei gli hanno consegnato.

Siamo abituati a pensare il Mediterraneo delle vecchie potenze, Francia, Italia, Spagna, Egitto, ma oggi dobbiamo contare Israele, visto che “il Mediterraneo va visto intero”, come diceva Shimon Peres. Quindi, bisogna ricalcolare tutti i nostri parametri geopolitici marittimi. E qui occorre ripensare alla Sicilia. Bene hanno fatto gli organizzatori di questo convegno a porsi come sede Palermo. Città simbolo di tutte le stratificazioni mediterranee, dove il sepolcro di Federico II di Svevia, nel Duomo, è costruito come un sacello sciita e vi sono pietre con iscrizioni coraniche a lato. Palermo e la Sicilia non sono solo una base strategica, come sognava una certa vecchia geopolitica rigida e piena di miti, ma il punto in cui devono essere presenti tutte le forze mediterranee che dialogano tra di loro. Ma non, vi prego, come è accaduto nella recente “Conferenza sulla Libia” organizzata dall’attuale governo, che sembrava un vaudeville ottocentesco, con tutte quelle riunioni nelle camere, per tradire un coniuge o un alleato. E, comunque, non si è concluso nulla. Ovvio: la logica era quella dei perdenti, non dei vincitori. Prendere sul serio come “stato nazionale” l’organizzazione libica di Al Serraj, è come ritenere valido quello stato che fu fondato da un ingegnere, negli anni ’60, in una piattaforma petrolifera al largo della Romagna. Nessuno lì è uno stato-nazione, ma uno spettro agitato da qualcun altro. E magari dalla Fratellanza Musulmana, che ha ottimi rapporti con gli Usa, almeno dai tempi delle prime e funeste “primavere arabe”.

In Sicilia, e soprattutto sulla sua costa ovest, arrivarono i soldati Usa per risalire l’Italia. Fu una “guerra inutile”, come la definì Eric Morris, agente britannico, mentre la vera sconfitta dell’Asse arrivava da Nord, dall’Operazione Overlord sulle coste normanne? No di certo, perché senza prendere il Mediterraneo non è possibile conquistare l’Europa. La civiltà europea è nata, come Venere Anadiomene, nel Mare Nostrum, e quindi senza Mediterraneo non vi è alcuna Europa. Ma la Sicilia è davvero un punto centrale, e non solo per quel che riguarda la mera geografia. Punto di arrivo degli Usa, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, fu, proprio per le sue caratteristiche sociali, il migliore punto di partenza per la risalita della Penisola. Come diceva Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, per capire l’Italia occorre vedere la Sicilia, che è il paradigma di tutto il resto del Paese. Ma la posizione mediterranea è tale da rendere Trinacria il centro delle nostre politiche mediterranee, se esse ci fossero. Quindi, la Sicilia come punto di collegamento tra Stati Uniti, che sono sempre e comunque necessari per la pace nel Mare Nostrum, Israele, che è proprio dall’altra parte del Mare, la Cina, che vuole espandere i suoi commerci e può riequilibrare le potenze già presenti. Un Mediterraneo dell’equilibrio, non delle vecchie egemonie, che costano più di quanto non rendano. Un Mare Nostrum, poi, che sarà uno dei grandi poli di sviluppo, nei prossimi anni, ed ecco spiegata la rissosità interna, il jihad sulle coste, le operazioni di egemonia regionale andate a male. Sarà necessario un nuovo equilibrio e una redistribuzione della potenza regionale. Dove se ne andrà il jihad costiero, occorrerà sostituirlo con i Paesi che lo contenevano, ma certo tutelati da qualcuno. La lotta per l’egemonia nel Mediterraneo è aperta, e comunque l’Unione Europea, persa nelle sue chiacchiere sul politically correct e la sola questione femminile, non esiste più, nel Mare Nostrum.

Non esiste più nemmeno altrove, ma qui ci interessa il Mediterraneo. Quindi: presenza inevitabile della Federazione Russa, a partire dai suoi porti, essenziali nella geopolitica di Mosca, sulle coste siriane. Poi, Israele. Che non mancherà di proteggere le sue coste e le sue rotte commerciali sul Mediterraneo, ma certamente in rapporto con una Potenza. Poi, gli Usa, che dovranno cambiare il loro tipo di egemonia mediterranea, visto che qui non siamo più nella guerra fredda, quando non c’era una flotta sovietica rilevante, ma comunque c’erano sulle coste mediterranee Paesi amici del Mondo dell’Est. E la Cina. Pechino sarà la flotta “di corsa” del Mediterraneo. Avrà, o si creerà, punti di riferimento sulle coste. Naturalmente, l’Europa non vedrà o, ancor meno, capirà cosa succede davvero. Israele potrà essere un collaboratore dei cinesi, visti gli ottimi rapporti tra i due Stati. E ci vorrà anche l’apporto degli Usa, che potranno aiutare Israele a non chiudersi in pesanti alleanze, che prima o poi potrebbero chiedere il prezzo. Magari per un nuovo accordo capestro con i palestinesi. L’Italia, impotente più del solito, sarà chiusa in una nuova rete di alleanze e punti di forza che la chiuderanno. Se non ci sarà una nuova linea politica, oggi non esistente, l’Italia, per essere amica di tutti, sarà la nemica di ognuno. Meno la Sicilia, che potrà giocare alcune delle sue carte. I rapporti on il mondo arabo, soprattutto quando sarà finita la “guerra dei trent’anni” jihadista. Poi, la possibile nuova tutela multinazionale, dalla Sicilia stessa, delle coste maghrebine.

Per quel che riguarda i Balcani, che sono la nostra naturale sfera di influenza, l’Italia potrebbe crearsi una nuova zona di influenza di tipo “veneziano” sulle coste croate, pulendole dalla presenza jihadista. Poi, occorrerebbe pensare a questo Convegno come la prima occasione, e spero ce ne saranno molte in futuro, di un nuovo Centro di Geopolitica che potrebbe, proprio per la sua specifica posizione, presentare progetti per una nuova ricomposizione del Mediterraneo. Da chi saranno ascoltati? Certo da chi, nel Mediterraneo, opera sul serio. Lasciamo stare l’Italia, ingessata da classi politiche mediocri e ignoranti. Men che meno l’Europa, che non pensa che ai grandi principi che, ripetuti, non per questo si applicano. E se, dalla Sicilia, si potesse immaginare una “Pentagonale” come quella che creò Gianni De Michelis, l’ultimo vero ministro degli Esteri italiano, quando si stava disfacendo l’impero sovietico anche nelle sue periferie, che nei Balcani riguardavano anche noi? L’idea funzionò, forse troppo bene per non instillare gelosie e incomprensioni. Ministri successivi la cassarono. Ed era l’unico progetto credibile per mettere in sicurezza e per espandere il nostro influsso nel Nord balcanico. E, lo ripeto, se facessimo una Pentagonale per il Mediterraneo? Con l’Italia, certo, ma anche con l’Algeria, il Marocco, Egitto e Israele. Sarebbe una base per elaborare progetti realistici ma, soprattutto, la “Corte” in cui si potrebbero risolvere i contrasti mediterranei, commerciali o geopolitici.

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