È morto Tony Mendez, agente Cia dall’alone mitologico, diventato famoso al pubblico mainstream con il film “Argo”. Mendez, operativo sotto copertura tra i Settanta e gli Ottanta, aveva 78 anni, ed era affetto dal morbo di Parkinson da una decina; è morto per complicazioni legate alla malattia.
Nome completo Antonio Joseph Mendez, agente, scrittore e personaggio da favola, famoso per quello che il film — con cui il registra Ben Affleck ha vinto tre Oscar nel 2013 (miglior film, migliore sceneggiatura, miglior montaggio) e diversi altri premi della critica — ha raccontato. Una storia vera.
“Argo” (2012) — 232 milioni di dollari di incassi — ha messo in video quello che Mendez aveva già scritto nel suo libro di memorie “Master of Disguise: My Secret Life in the CIA”. Siamo a Teheran, durante i giorni in cui gli studenti di un gruppo rivoluzionario khomeisti avevano preso in ostaggio 52 membri dell’ambasciata americana in Iran. Mendez, nel film interpretato dallo stesso Ben Affleck, è stato la mente del cosiddetto Canadian Caper, l’operazione con cui l’intelligence americana (in collaborazione col governo canadese) riuscì a liberarne sei.
L‘agente, in quei giorni critici in cui procedeva la crisi degli ostaggi (durata poi dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981), volò nella capitale iraniana e riuscì a esfiltrare — un tipo di missioni in cui era già considerato un maestro — sei americani figgiti dall’ambasciata nelle fasi iniziali dell’occupazione e rifugiati nell’abitazione dell’ambasciatore canadese. Il piano: i sei furono fatti passare per componenti di una troupe di una casa di produzione cinematografica del Canada, che si trovavano in Iran per selezionare i luoghi in cui si sarebbero dovute svolgere le riprese di un film, dal titolo, appunto, Argo. La Cia, su idea di Mendez, creò il contesto alla perfezione: una scenografia che prevedeva passaporti falsi (canadesi) per i sei, e la creazione di una falsa società cinematografica. Nonché ovviamente la trama di Argo, un film di fantascienza sceneggiato ma mai girato. Personaggi del mondo di Hollywood parteciparono al piano di Mendez, ingannando parte dello star-system per costruire un background credibile.
Domenica prossima, il 27 gennaio, sarà l’anniversario dei trentanove anni da quell’operazione rimasta negli annali dell’agenzia — era una domenica anche il 27 gennaio del 1980, quando Mendez imbarcò i sei americani sull’aereo che li avrebbe riportati in patria dall’aeroporto internazionale Mehrabad di Teheran. In quello stesso anno, la missione portò a Mendez la Stella al Valore con cui l’intelligence premia per meriti sul campo i sui agenti. “Il film aderisce allo spirito della storia, che è quel che conta. Musica, luci e tutto il resto fanno parte del divertimento”, diceva l’agente della pellicola di Affleck.
Mendez, figlio di un minatore del Nevada, aveva studiato Arte all’University of Colorado, e nel 1965 era stato reclutato dalla Cia — nella technical service division — dopo aver aderito a un finto concorso ideato dall’agenzia in cui i candidati dovevano creare un cartellone pubblicitario. Da lì 25 di onorato servizio, soprattutto tra Est Asia e Medio Oriente, ma anche in Russia, nominato al congedo tra i cinquanta agenti migliori di tutti i tempi, curatore di workshop tecnici (come quelli sui meccanismi di contraffazione e travestimenti, arte su cui — ai tempi in cui non esistevano le facilitazioni del digitale — era tra i migliori al mondo). Seminari tenuti all’International Spy Museum di Washington fondato con sua moglie (altra agente Cia dalla carriera ventennale, conosciuta durante missioni congiunte nel teatro delicatissimo dell’Unione Sovietica della Guerra Fredda).
Nel comunicato stampa (concordato con la famiglia) con cui la sua manager Christy Fletcher ha diffuso ieri su Twitter la notizia della sua morte, c’è scritto anche: “L’ultima cosa che hanno fatto lui e sua moglie Jonna Mendez è stata consegnare il loro nuovo libro all’editore, Tony è morto sapendo che era riuscito a completare la scrittura delle storie che voleva raccontare.”. Mendez ha scritto un altro paio di libri oltre quello su Argo, e a maggio sarà in edicola con “The Moscow Rules: The Secret CIA Tactics that Helped America Win the Cold War”.
Un altro argomento attualissimo: la Russia. L’amministrazione americana è tornata a fronteggiare Mosca e Teheran (la cui sovrapposizione da anni s’è materializzata in Siria) come due minacce per la sicurezza nazionale statunitense. A Teheran, il regime teocratico che controlla il governo, non ha mai mollato la linea anti-americana e anti-occidentale avviata con la rivoluzione (che nella presa degli ostaggi americani aveva già raggiunto il culmine).
Quest’anno ricorre il quarantesimo della rivoluzione, e i Pasdaran stanno tempestando il paese di poster propagandistici, anche rincuorati dagli esiti — costosi, ma positivi — della campagna con cui stanno diffondendo la loro influenza politica a cavallo del Medio Oriente. Nei giorni scorsi s’è parecchio parlato di un grande poster, simile a un cartellone cinematografico, piazzato in un angolo della piazza Valiasr di Teheran (effetto maxi schermo Sanyo a Picadilly Circus). Ironico che nell’immagine propagandistica con cui il regime voleva celebrare i suoi successi ci fosse disegnato anche uno shuttle della Nasa, non certo un successo della teocrazia iraniana — e molto simile a quello con cui Ben Affleck e gli altri vanno a salvare la terra nel molto americano “Armageddon”.