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I migranti, la Chiesa valdese e Bergoglio. L’ecumenismo del fare secondo Bernardini

Il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese, l’organo che rappresenta ufficialmente le chiese metodiste e valdesi nei rapporti con lo Stato e con le organizzazioni ecumeniche, è molto prudente quando si tratta di commentare “l’accordo raggiunto” sul caso dei 49 migranti che sono finalmente scesi a Malta dopo settimane trascorse a bordo delle navi delle Ong Sea Watch e Sea Eye in attesa di trovare un porto sicuro che sembrava non giungere mai. Ora i 49 sono scesi a Malta, ma quanti di loro arriveranno in Italia, ospiti della sua Chiesa che ha offerto la sua disponibilità ad accoglierli tutti? E poi, quando arriveranno? Questo lui non lo dice perché ancora non lo sa. Il negoziato che li riguarda coinvolge molti Stati e, per quanto è dato sapere, anche altri migranti e precedenti accordi: quindi il loro caso può essere considerato risolto ma non chiuso.

La soluzione lo induce a tirare un sospiro di sollievo che lo porta a dire, “siamo felici di dare il nostro contributo e ci occuperemo di queste persone riconoscendo la loro dignità, come abbiamo sempre continuato a fare con tutti, anche con tanti italiani, di cui noi ci occupiamo quotidianamente, come in generale le chiese cristiane in Europa fanno per tutti. La nostra priorità è aiutare chi è nel bisogno e nella sofferenza, tutto il resto viene dopo”. Ma la chiusura ancora non c’è e quindi è d’obbligo ancora adesso la prudenza.

Resta il fatto però che la disponibilità all’accoglienza offerta dalla Chiese Evangeliche Italiane, che riguardava tutti e 49 gli sventurati a bordo delle due navi, e “l’accorato appello per una solidarietà concreta” formulato da papa Francesco nel giorno dell’Epifania sembra indicare un nuovo ecumenismo: a questa osservazione risponde con convinzione che è così, e lo descrive come un cammino, un ecumenismo che sembra fare delle radici cristiane non una rivendicazione notarile, ma un’azione comune, un comune agire. Così questo ecumenismo del fare porta la fede nella storia più che nelle discussioni dottrinali.

Si può dire che ascoltando il suo ragionamento venga naturale chiedere: la settimana per l’unità dei cristiani, che si celebra ogni anno dal 18 al 25 di gennaio, sia arrivata in Europa con qualche giorno d’anticipo? L’osservazione lo induce a riflettere sul valore delle sfide, sull’evoluzione di esse e sull’evidenza che fronteggiarle determina una conoscenza che riduce sfiducia, pregiudizio, rancore, o tutto quel che il ben noto e doloroso passato porta o ha portato con sé.

Oggi l’ecumenismo, vocabolo astruso o troppo tecnico per molti, che vuol dire lavoro o tendenza all’unione di tutte le Chiese cristiane, ha non a caso nel progetto dei corridoi umanitari il suo esempio più noto proprio perché concreto: si tratta di quel progetto comunemente pensato e gestito dalla cattolica Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche e dalla Tavola Valdese, per portare in sicurezza e con un percorso di integrazione già definito migliaia di rifugiati o asilanti in Italia. Ma questo non è il frutto di una circostanza, è stato possibile anche grazie a lavori precedenti, ad esempio ai gruppi ecumenici, i cenacoli d’incontro tra cattolici, protestanti, ortodossi e altri, che nel tempo hanno certamente aiutato, ma sono stati pur sempre cenacoli.

Ora il progetto dei corridoi umanitari coinvolge persone, formatori, volontari, centri, stranieri, in un impegno comune. Ci si è arrivati per le sfide del tempo, ma anche per i percorsi concreti precedenti, e l’autentico punto di svolta sono state le famiglie miste e le relativa intese. Sottolineandone l’importanza il pastore Eugenio Bernardini ricorda il valore degli accordi degli anni Novanta che hanno determinato una visione più serena e positiva e che hanno determinato nella realtà il superamento di molti pregiudizi e tensioni. Oggi la nuova sfida che crea ecumenismo è la sfida delle nuove povertà; per misurarsi con questa realtà che incalza i fedeli si sentono chiamati a unirsi e impegnarsi in un lavoro sociale che rafforza la conoscenza e l’amicizia nello spazio pubblico, nella società. Questo dato europeo ha un grande rilievo soprattutto in questi tempi difficili, ma che fanno delle sfide anche un’opportunità, un’occasione di crescita dell’ecumenismo e dell’amicizia tra i credenti e le loro Chiese.

Impossibile non chiedergli se non sia sorpreso dal fatto che nelle Chiese europee si manifesti però proprio nello stesso tempo anche una sensibilità molto diversa, se non opposta, che rifiuta questa idea di “solidarietà”, magari teme l’invasione, o crede che la solidarietà vada manifestata al più prossimo, cioè al connazionale. Sembra una novità, ma il pastore Bernardini riflettendo fa cogliere che questo non è nuovo, perché c’è sempre stata “infedeltà nella fedeltà”, di fede o di appartenenza.

Se non avesse ragione lui non si capirebbe la storia, tante pagine della storia risulterebbero inspiegabili. Ma la forza della fedeltà e dell’incontro lui la vede evidente, tanto che mentre parla sembra ritenere o ipotizzare che questa fedeltà possa aver influito anche sulle scelte assunte, magari non facilmente, dalla politica.


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