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The Movement, parla il fondatore: così assalteremo la roccaforte Ue

Mischaël Modrikamen

Se n’era parlato molto, quest’estate. Che fine ha fatto The Movement, la piattaforma con cui Steve Bannon vuole portare i sovranisti europei a strappare un quarto dei seggi dell’Europarlamento il prossimo maggio? Da qualche mese tutto tace. La sovraesposizione mediatica, fanno sapere dall’ufficio nuovo di zecca a Bruxelles, ha solo confuso le idee e non ha giovato alla causa. Mischaël Modrikamen (nella foto), avvocato, fondatore e leader del Partito del Popolo belga, vicepresidente del gruppo Adde (Alleanza per la democrazia diretta in Europa) a Strasburgo, decide di rompere il silenzio con Formiche.net. Ha creato lui The Movement, nel gennaio 2017. Da allora di cose ne sono successe. L’incontro folgorante con Bannon in un ristorante di Londra, le adesioni entusiaste di Farage, Le Pen, Salvini, Meloni, le defezioni e le polemiche. Mancano quattro mesi al voto che cambierà volto alle istituzioni Ue, ed è ora di scaldare i motori, a partire dal congresso di lancio previsto per marzo. In questa intervista Modrikamen ci racconta cos’è (e cosa non è), da dove viene e dove vuole andare questo Movement che ha fatto parlare di sé da Roma a Bruxelles, da Rio de Janeiro a Washington D.C.

Facciamo chiarezza. Cos’è davvero The Movement?

The Movement è un club dove i leader populisti si riuniscono da tutto il mondo, non solo dall’Europa. Un club dove i partiti possono incontrarsi, discutere un’agenda comune e supportarsi a vicenda. Ci saranno europei, sudamericani, asiatici, canadesi, israeliani. Steve (Bannon, ndr) vuole coinvolgere tre, quattro formazioni politiche americane, le stiamo ancora vagliando. Io spero che un giorno aderisca anche Trump, ma è presto per dirlo.

Quando è nata l’idea?

Faccio un passo indietro. Io fui uno dei pochi politici europei che decise di supportare Trump fin dalla sua candidatura. Nel febbraio 2016, poco prima degli attentati a Bruxelles, feci un video in cui spiegavo perché gli Stati Uniti non dovevano trasformarsi in una nuova Ue. Solo in America fece più di tre milioni di visualizzazioni.

Poi?

All’indomani dell’elezione chiesi a Nigel Farage di consegnare al transition team di Trump un memo dove spiegavo che, dopo la Brexit e l’approdo del Tycoon alla Casa Bianca, quel movimento sarebbe dovuto divenire globale. Come può immaginare, il team in quel momento aveva altre priorità, non credo l’abbiano mai letto. Fui comunque l’unico politico belga invitato alla cerimonia di insediamento a Capitol Hill.

Da lì iniziò a prendere forma il piano…

Iniziai a porre le fondamenta legali del progetto nel gennaio 2017. Ho registrato il marchio, ma non arrivarono le risposte sperate e dunque rimandai a data da destinare l’avvio del movimento. Nella primavera del 2018 ho ricevuto una chiamata da Farage, allora leader dello Ukip. Mi disse che Steve voleva vedermi, organizzammo un pranzo a Londra l’8 luglio, anche grazie all’aiuto di Raheem Kassam, direttore di Breitbart Uk e amico di Bannon e Farage. Ci trovammo sulla stessa linea d’onda. The Movement doveva prendere forma.

Quindi nel gennaio 2017 Bannon, allora influentissimo capo stratega di Trump, non era a conoscenza del progetto?

Non credo Bannon sapesse nulla all’epoca. Anche se Nigel fosse riuscito a far arrivare quel memo di un avvocato belga sulla sua scrivania, si sarebbe perso fra le altre migliaia di memo che si ammassavano quei giorni…

Oggi chi c’è nella squadra?

Premetto che si tratta di un club molto informale, non siamo impegnati a tempo pieno. Steve ad esempio continua a coltivare i suoi contatti in America e si è impegnato molto per dare una mano ai repubblicani alle elezioni di midterm. Ci sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, il neo eletto presidente brasiliano Jair Bolsonaro, Marine Le Pen. Abbiamo mantenuto appositamente un basso profilo, rinunciando per il momento al sito internet e a uno stemma, così come ai social network. Ora stiamo preparando un summit, incrociando le dita riusciremo a organizzarlo entro marzo.

Chi pensate di invitare?

Ci saranno capi di Stato, primi ministri, leader di partito. Molti ancora non si conoscono di persona. Noi vogliamo metterli insieme, fare rete. Dopotutto i globalisti hanno decine di luoghi di ritrovo, hanno Davos, le Nazioni Unite, l’Ue. Ai sovranisti manca quest’opportunità, noi vogliamo farli incontrare intorno a tre pilastri essenziali: più sovranità, controllo dei confini e dell’immigrazione, lotta all’islamismo radicale.

Parlate spesso della Open Society di George Soros come la vostra nemesi. Perché?

Siamo sovranisti. Combattiamo l’ideologia globalista e le sue istituzioni perché in esse ravvediamo una nuova forma di imperialismo. George Soros inietta miliardi di dollari per finanziare questo sistema e di conseguenza è un nostro avversario. Noi siamo convinti che l’entità nazionale sia l’unica in grado di difendere la libertà e la democrazia. Se davvero volete capire in cosa crediamo vi consiglio di leggere un recentissimo libro dello scrittore israeliano Yoram Hazony, “La virtù del Nazionalismo”.

Oggi l’amministrazione americana è a conoscenza del vostro progetto?

Ovviamente. Siamo in contatto con diversi membri dell’amministrazione Trump, sia all’interno della Casa Bianca che dentro al suo movimento grassroot.

Il vostro obiettivo dichiarato è aiutare i partiti sovranisti alle europee. Come?

Bisogna essere cauti a usare la parola “aiutare”, perché in alcuni Paesi europei potrebbe configurare una violazione della legge. Per di più leader come Salvini, Meloni, Orban non hanno certo bisogno del nostro aiuto. Ripeto, siamo un club che vuole solo facilitare il loro incontro. Ho sentito storie su un nostro impegno per fondere insieme i gruppi Cre (Conservatori e riformisti europei) e Enl (Europa delle nazioni e della libertà), non c’è niente di vero.

Chi e come finanzia The Movement?

Il denaro arriva da donatori privati e serve a finanziare le nostre attività, è il caso del congresso che lanceremo a breve. Il crowfunding rimane lo strumento principale, non abbiamo nessuna intenzione di chiedere denaro ai partecipanti. Se i donatori lo vorranno, renderemo pubblici i loro contributi. Per il momento, credetemi, parliamo davvero di pochi soldi.

Ultimamente c’è stata qualche defezione di prim’ordine. Penso agli austriaci di Fpo, ma anche e soprattutto ai tedeschi di Afd che hanno preso le distanze da Bannon..

Ho letto delle polemiche di Alexander Gauland sui giornali. Posso assicurarvi che siamo in contatto con diversi esponenti di Afd, in molti stanno mostrando interesse per il progetto. L’invito è a non considerare The Movement solo da una prospettiva europea, al summit inaugurale vedrete gente da tutto il mondo.

Però non ci sono solo i tedeschi. In una conferenza stampa di ottobre a Roma Salvini e Le Pen hanno fatto lo stesso. Siete ancora in contatto con loro?

In questo momento io non sono in contatto con Salvini, ma sono fiducioso che Steve continui a sentire sia lui che la Meloni. Quanto a Le Pen, solo due settimane fa in una conferenza a Bruxelles con Bannon ha ribadito la volontà di lavorare insieme a The Movement.

Veniamo al voto europeo di maggio. Quanti seggi sperate di portare al fronte sovranista?

Tendenzialmente il nostro obiettivo è ottenere un quarto dei seggi, se riuscissimo a strapparne un terzo compiremmo un’impresa. Eleggere eurodeputati però è solo uno dei tanti modi per avere influenza in Europa. Il Consiglio dei ministri Ue conta almeno altrettanto. Lì Salvini e i leghisti, i sovranisti ungheresi, cechi, polacchi, danesi possono fare la differenza.

A proposito di Salvini, da molti è ormai ritenuto il leader di questa internazionale sovranista. È d’accordo?

Leader forse non è la parola giusta, ogni sovranista per definizione vuole essere leader nel suo Paese. Se parliamo di The Movement il tema non si pone, perché è un club, e in un club non ci sono leader. Quanto al fronte sovranista, diciamo che Salvini, un po’ come Trump, è divenuto un’icona in Europa. È uno dei pochissimi che è arrivato al governo, ha dimostrato loro che le cose possono cambiare davvero, che i porti si possono chiudere.

Avrà notato che Luigi Di Maio e i Cinque Stelle si stanno muovendo per costruire una coalizione europea alternativa alla vostra. È un mondo con cui riuscite a dialogare?

Per i populisti ci sono due vie. La prima è la via austriaca, ovvero un’alleanza con il centrodestra o il centrosinistra. La seconda consiste in un accordo fra populisti di sinistra e di destra. L’Italia è stato il primo Paese europeo a sperimentarla con il contratto fra Cinque Stelle e Lega. È un esperimento notevole, che a mio parere si sta reggendo molto sull’amicizia personale fra Salvini e Di Maio. Steve ne è rimasto affascinato. Io personalmente sono incline a preferire la prima via. D’altronde funziona in Andalusia, dove i nazionalisti di Vox e i popolari hanno appena trovato un accordo, ma anche in Danimarca, dove c’è un governo di coalizione fra conservatori, liberali e popolari.

Un’ultima domanda. Prima mi ha citato tre pilastri del sovranismo, ma ha sorvolato sulla politica estera. Quale postura auspicate per l’Europa nei confronti della Russia?

La politica estera è una questione estremamente divisiva. Ci sono Paesi che si oppongono alla Russia per motivi storici e geografici, altri, come l’Italia di Salvini, hanno posizioni opposte. Personalmente sono a favore di una gestione più aperta dei rapporti fra Ue e Russia, vorrei che l’Ue la considerasse un partner. Ciò detto non siamo certo naive, la Russia gioca secondo i suoi interessi, e questi non sempre sono allineati ai nostri.

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