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Nave Diciotti, perché è importante fare piena luce sul sequestro di persona

Di Giuseppe Lenzi

S’usa dire che il “tempo è galantuomo” e le vicende giudiziarie di queste ore, che vedono un tribunale della Repubblica, chiedere (al Parlamento) l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro degli Interni sen. Matteo Salvini confermano tale assunto. Le ipotesi di reato sono: abuso di potere e sequestro di persona aggravato “per avere, nella sua qualità di ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 177 migranti (con 29 minori a bordo) di varie nazionalità giunti al porto di Catania a bordo della unità navale di soccorso “U. Diciotti” della Guardia Costiera italiana alle 23:49 del 20 agosto 2018″.

Il 23 agosto dell’anno scorso, in piena crisi umanitaria indirizzai una “lettera aperta” al comandante della nave Diciotti stigmatizzando quali fossero le sue precise responsabilità nell’assurda vicenda che il Paese viveva con sgomento: una nave militare italiana impedita di attraccare in un porto italiano per sbarcare 177 naufraghi raccolti in mare. La lettera postata su Facebook mi attirò una marea di aspre critiche – al limite dell’improperio – e rari consensi. Oggi, a meno da un anno dagli eventi, la giustizia italiana pare voglia processare il “mandante” di quell’inumano sequestro di persone. Ma ciò non avverrà perché il Senato della Repubblica si esprimerà contro la prosecuzione dell’iter giudiziario che vedrebbe, per la prima volta in Italia, un ministro degli Interni sul banco degli imputati nell’anno in cui si celebrano i 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Quindi il “mandante” morale di quell’accertato sequestro di persone, non sarà assoggettato ai rigori della giustizia italiana.

Tale scenario, però, dispiegherà, necessariamente, i suoi effetti nei confronti di altri soggetti che non godono (per fortuna) di alcuna protezione “politica”. Mi riferisco a tutta la catena di comando (si fa per dire) in cui, come sembra accertato, nessuno ha saputo o voluto “comandare” alcunché. Quei ben noti soggetti, pessimi gestori degli eventi, con il verdetto del Tribunale catanese, assumono i connotati di “esecutori materiali” dei medesimi reati ipotizzati nei confronti del ministro Salvini. Con l’aggravante previsto e punito dall’art. 40 del C.P.: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Sarà, quindi, ancora una volta, demandata all’autorità giudiziaria fare piena luce su quanto già appare di lapalissiana certezza: le responsabilità piene ed esclusive dei massimi responsabili della Guardia Costiera nella penosa ed irresponsabile gestione della dolorosa vicenda umanitaria dell’estate del 2018.

Salvo, pertanto, il primo ed esclusivo “mandante” dei numerosi reati a lui ascrivibili (sequestro di persona aggravato ex art.605 del C.P. pena da tre a quindici anni), l’attenzione della giustizia dovrà ora rivolgersi agli esecutori materiali di quell’odioso reato. Non posso qui riferire i “cortesi” epiteti di cui fui oggetto (su Facebook) allorché mi permisi di specificare (codice alla mano) le gravi inadempienze di cui s’era reso responsabile il comandante di nave Diciotti, capitano di Fregata Massimo Kothmeir. È prevedibile, a questo punto, che l’autorità giudiziaria contesterà all’Ufficiale le ipotesi di reato a suo carico che, vaste quanto il “mare nostrum”, spaziano dall’inosservanza di leggi e regolamenti nazionali, a quelli delle violate Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare: Convenzione SAR, Risoluzione MSC167-78, Direttiva SOP009/15, la espressa richiesta del POS (place of safety) presentata formalmente da IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Center) al fine di consentire l’attracco e lo sbarco nel posto di Catania di quel dolente carico umano. È indubbio che il comandante della Diciotti invocherà, a propria discolpa, l’assenza di “ordini formali certi e scritti e sottoscritti” dalle autorità costituenti la sua “catena gerarchica”.

Difesa assai debole, ove basata su tale circostanza, essendo doveroso, per un comandante, di nave, l’obbligo/dovere di ogni utile “iniziativa” allorché le circostanze lo impongano. Si è sempre saputo che tali “ordini” non ci furono perché da nessuno emanati, da nessuno ricevuti ed a nessuno eseguiti. E sarà, quindi, nello sporco gioco del rimbalzo di responsabilità fra poteri (on fait pour dire) dello Sato, che l’autorità giudiziaria inquirente dovrà adoperarsi con tutta la saggezza e sagacia possibili per dare a Paese la certezza (hoc erat in votis) che, di tanto in tanto, qualche responsabilità certa emerge e qualche responsabile – se del caso – paghi. Spiace, certo, che un brillante ufficiale superiore, della nostra Marina Militare, sia astretto ai rigori della giustizia. Ma riesce proprio impossibile credere che un navigato marò, che ha solcato i mari del mondo, possa avere deliberatamente ignorato le “regole fondamentali” che disciplinano, con carattere di inderogabilità assoluta, la limpida legislazione tesa alla salvaguardia delle vite umane in mare.

Infatti, le “Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli art.10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica, assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna”. Appare di tutta evidenza che il ministro degli Interni, delle Infrastrutture e l’autorità marittima si siano posti al di sopra di tali principi giuridici consapevolmente violandoli. Ma seppur, nella concitata contingenza di quelle ore e di quei convulsi giorni (agosto 2018), la memoria del comandante Massimo Kothmeir fosse stata sommersa dagli eventi, le sue qualità di “marinaio” avrebbero dovuto consigliarlo/obbligarlo ad approdare nel porto “sicuro” più vicino e sbarcare il suo carico umano; indipendentemente dal vuoto spinto che ha attanagliato le menti della sua catena gerarchica.

Come un valente marinaio della nostra Marina Militare, abbia potuto relegare in “sentina” l’art. 13 della Carta Costituzionale non si comprende. Lì è sancito che “non è ammessa alcuna forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. E quindi? Chi lo ha consigliato? A quali “ordini” illegittimi ha inteso dover obbedire? Tutte domande che attendono una risposta.

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