Che la campagna elettorale per le europee sia già iniziata, e che sarà essa “la madre di tutte le battaglie”, è evidente dai video-post che i leader del governo hanno piazzato su Facebook ieri e ieri l’altro. Essi ci dicono molte cose sul governo stesso, sulle dinamiche che hanno corso al suo interno, e anche sul diverso stile comunicativo usato dai due leader per portare a casa i maggiori risultati possibili a maggio.
Diciamo che Salvini e Di Maio, sicuramente consigliati dai bravissimi professionisti della comunicazione che hanno attorno, hanno imboccato strade diverse. Unico tratto in comune: il tono colloquiale e una asserita spontaneità, che sembra la cifra dei nostri tempi assolutamente disintermediati. Salvini, nonostante le rassicurazioni in contrario, ha posto il suo intervento come una sorta di “contromessaggio” rispetto a quello del capo dello Stato, insistendo sui temi a lui cari, a partire da quello della sicurezza. Il quale era stato richiamato da Mattarella in un senso completamente opposto, e che comunque rappresentava a mio avviso da parte sua uno sconfinamento dal campo istituzionale e “notarile” a quello della politica: una “deviazione” a cui in verità gli ultimi presidenti della Repubblica ci avevano già abituato.
Credo, che di fronte all’idea che la convivenza con le altre culture dipenda da un deficit nostro nella capacità di dialogo, la posizione di Salvini sia molto più realistica, nonostante certe asprezze di tono, e soprattutto più “popolare”. Come puoi mai dialogare con chi il dialogo non lo accetta e finisce anche per credere che esso sia una blasfemia?
Altro e connesso focus critico è stato quello relativo all’Unione europea, che ha marcato anch’esso le differenti e opposte visioni sulla questione fra Mattarella e Salvini, anche in questo caso mi sembra a tutto vantaggio del leader leghista. La retorica unionista, infatti, ha poco senso se non si affronta di petto la crisi profonda che attraversa l’istituzione europea, un pachiderma burocratico incapace oggi di decidere e solcato da profonde divisioni a proprio interno. L’aspetto rilevante però è a me sembrato, in questa parte del discorso, l’intestarsi netto da parte di Salvini della battaglia sull’Europa, e per giunta in una dimensione decisamente continentale. Affermando a chiare lettere che la partita che si giocherà nelle elezioni di maggio è fra conservatori e innovatori, il leader leghista non si è lasciato molte vie di uscita in caso che gli elettori non dovessero votare secondo i suoi auspici. Questo dimostra sicuramente grande coraggio e doti di leadership, ma ha anche a mio avviso motivazioni più strettamente politiche. Da una parte, infatti, la scelta del leader leghista vuole essere un primo tentativo di dividere il fronte degli elettori sul tema cruciale dell’Europa: le battaglie divisorie, senza troppi distinguo nella comunicazione, sono sempre le più proficue di risultati nella politica odierna. D’altro canto, con questa mossa egli spiazza gli alleati competitor del Movimento 5 Stelle, che al suo interno anche sulla questione europea non sembrano del tutto coesi.
I pentastellati però non sembrano stare con le mani in mano. La loro strategia politico-comunicativa prevedeva un primo passo, adempiuto dal messaggio congiunto di Di Maio e Di Battista dalle piste di sci: dimostrare agli italiani che i due leader non sono in competizione ma marciano divisi per colpire uniti. Da qui una certa frettolosità e anche banalità del loro messaggio, il cui unico scopo voleva essere evidentemente solo rassicurante verso la base. Se il risultato sia stato raggiunto, non è facile per ora di dirlo. Ma sicuramente ne vedremo delle belle nei prossimi mesi.