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Sanità, perché non si può offuscare la libertà prescrittiva del medico. Parla Serena Sileoni

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A un mese dalla pubblicazione del documento in materia di governance farmaceutica e a meno di un anno dal secondo position paper dell’Aifa sui farmaci biosimilari, Formiche.net ha affrontato la questione con il vicedirettore generale dell’Istituto Bruno Leoni, Serena Sileoni, per cercare di capire di più su come raggiungere un equilibrio tra contenimento della spesa e benessere dei pazienti.

Sappiamo che la spesa farmaceutica, essendo la più regolamentata in ambito sanitario, è quella che si presta più facilmente ad eventuali tagli. Non crede, però, che partendo sempre da questa evidenza si rischia di “battere” sempre sullo stesso punto, tagliando dove già si è tagliato molto?

Sì, senz’altro bisognerebbe partire da un dato quantitativo, dai numeri. La spesa farmaceutica rappresenta una minima parte della spesa sanitaria: degli oltre 110 miliardi di spesa sanitaria, solo il 17%, ovvero 19 miliardi, è dedicato alla componente farmaceutica. Sebbene tra l’altro quest’ultima sia aumentata negli ultimi dieci anni di 1,7 miliardi, è comunque aumentata molto di meno rispetto alle altre componenti, con addirittura una diminuzione fra il 2010 e il 2012. Se si parte da questo punto di vista, si comprende come l’intervento e i tagli sulla spesa farmaceutica possano ben poco nell’efficientamento della spesa sanitaria. Ovviamente, poi, anche la spesa farmaceutica va equilibrata tra esigenza di spesa e diritto alle cure, ma solo non conoscendo i numeri si può pensare che una spesa sanitaria sostenibile passi prevalentemente per i tagli alla spesa farmaceutica.

Parliamo ad esempio di farmaci biosimilari. In un vostro report specificate che per biosimilare si intende “una categoria di farmaci biologici simili a quelli originali”. Ma se è proprio la definizione a indicarli come “simili” e non “uguali”, non crede sia un errore volerli equipararli scientificamente o persino considerarli sostituibili?

In realtà no, perché la similarità è una definizione legale. Noi ci limitiamo, non essendo farmacologi o biologi, ad acquisire quanto esplicitato dal diritto. Il punto è proprio questo. La fiducia nei confronti di un determinato farmaco non può dipendere dalla nostra conoscenza sulle sostanze che lo compongono e sui meccanismi che lo regolano, ma sul fatto che vi sono soggetti atti a farlo, ovvero l’Aifa e l’Ema. Qualsiasi invasione di campo attuata da soggetti che partecipano al sistema sanitario ma che non siano l’Aifa o l’Ema rappresenta un’ombra sulla sicurezza terapeutica. E lo stesso vale per i biosimilari. Non siamo noi a definirne gli usi, ma gli organi preposti a farlo. Così come, però, spetta poi al medico definire e scegliere una determinata terapia piuttosto che un’altra.

Questa corsa al risparmio nella spesa farmaceutica, comprensibile perché in teoria può contribuire a finanziare la spesa per l’accesso a nuovi farmaci, non sta ledendo in qualche modo la certezza che i pazienti ricevano le migliori cure possibili? Ovvero, siamo d’accordo che bisogna tagliare ove possibile, ma non le sembra che ci si stia muovendo un po’ con troppa foga, senza tener conto delle conseguenze ad ampio raggio?

Bisogna subito chiarire che le cose non stanno esattamente come si dice. Ovvero, c’è la parte politica che espone tutto come una sorta di annuncio politico e poi c’è la realtà delle cose che, lontana dai riflettori, è molto più prudente. Cosa voglio dire? Che per annunciare le virtuosità di governo – e non sto parlando solo dell’ultimo, ma anche dell’ultimo – si additano responsabilità di dissesto farmaceutico a componenti che, numeri alla mano, non sono poi così importanti. Per fortuna è sempre la giurisprudenza a restare il punto fondamentale e a regolare l’equilibrio di tutte le cose. Sicuramente che la spesa sia oculata e sia ben gestita è sacrosanto. Che non debbano esserci sprechi anche. Che la salute sia un diritto fondamentale non è solo sacrosanto, ma è una prescrizione costituzionale. È questo il bilanciamento. Garantire miglior accesso alle cure senza però spendere più del necessario. E questo vale sia per i biosimilari che per i generici. Non a caso, tutti i tentativi di vincolare la libertà prescrittiva del medico portati avanti da chi detiene il portafoglio della spesa sanitaria sono stati bloccati dalla giurisprudenza amministrativa.

Parliamo, proprio a tal proposito, di un contenzioso tra Regione Piemonte e la casa farmaceutica che commercializzava il faramaco originator Humira. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto, in seguito appunto al tentativo della Regione di definire tassativamente la percentuale di farmaci originator e biosimilari da adottare, che le indicazioni fornite dalle Regioni a scopo economico debbono essere orientative e di massima, rammentando che la scelta della terapia spetta sempre al medico che, in scienza e coscienza, dovrà scegliere, a parità di efficacia, sempre il farmaco quello più economico. Crede che questa sentenza abbia fatto un po’ di chiarezza?

La sentenza segue l’orientamento giuridico, che come accennavo è il perno dell’equilibrio tra contenimento della spesa e benessere dei pazienti, ma che ruota sempre e comunque attorno alla libertà prescrittiva del medico. Prendiamo ad esempio il secondo position paper dell’Aifa, che apre alla possibilità di switch terapeutico fra originator e biosimilari. Nel farlo, quest’ultimo ribadisce comunque la centralità della libertà prescrittiva del medico, rammentando come la decisione finale non spetti mai a chi ha il portafoglio della spesa sanitaria, ma al medico.
Nessuno può conoscere un paziente meglio del proprio medico, per cui le Regioni possono e devono limitarsi a fornire indicazioni, principi-guida e criteri direttivi, ma il medico deve sempre restare libero di determinare la cura migliore per il proprio paziente, al di là degli obiettivi economici. Libertà che non viene rispettata se la Regione fornisce, come nel caso del Piemonte, una specifica percentuale da raggiungere per un determinato tipo di farmaco. O ancora, come è accaduto, con la definizione di premi di produttività o di disincentivi per i dirigenti o i direttori sanitari, che si trovano in conflitto di interessi dovendo scegliere tra curare un paziente o ottenere il premio promesso. È così che di offusca la libertà prescrittiva.

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