No, il Venezuela non è un problema così grande se il metro di misura è il petrolio. Ma sì, il mondo è sull’orlo di una nuova recessione. Il 2019 è iniziato con tante incognite, troppe per non essere nemmeno alla fine del primo mese. Per capire dove va l’economia globale sarebbe meglio provare a fare un po’ di chiarezza, restituendo un po’ di equilibrio nella valutazione delle grandi questioni. Tentativo riuscito a Giulio Sapelli, economista e storico, interpellato da Formiche.net su alcuni temi caldi di questi giorni. A cominciare proprio dallo spettro della recessione, ricomparso a dodici anni dall’inizio della grande crisi del 2007.
“Certo che sta arrivando una recessione a livello internazionale, gli economisti lo dicono da un anno, anticipando quanto spiegato giorni fa da Fondo monetario e Banca d’Italia. E questo essenzialmente per due motivi”, spiega Sapelli. “Uno, la Cina non cresce più come prima e secondo l’economia statunitense non è ben messa come si pensa. Questo perché la gente non guarda le cose come realmente sono”. Cioè? “Negli Stati Uniti c’è un problema grave che risponde al nome di corporation. Le grandi società americane come la General Electric, sono profondamente indebitate, alcune allo stadio irreversibile. A Wall Street nell’ultimo anno l’indice della grandi quotate è sceso. Questo è il grande problema dell’economia americana, che il capitalismo non fa più profitto. Può sembrare un controsenso eppure è così. La finanza è rendita, il capitalismo non più”.
In tutto ciò a farne spese è l’Europa e l’Italia. Qui il problema, a detta dell’economista, è che mancano gli investimenti. “L’Europa continua ad affogare nella mancanza di investimenti, quindi la questione di fondo è come farli riprendere. Il Fmi dovrebbe parlare con la Bei (la Banca europea per gli investimenti, ndr) per un grande piano di spesa europeo che è l’unico modo per evitare lo tsunami che sta arrivando dalla Cina e da Wall Street”. Ci sono però le dovute eccezioni. Per esempio la Spagna, unico Paese uscito dalle previsioni del Fondo monetario con una stima di Pil vista al rialzo.
“Perché è un Paese che vive di turismo e benessere. Con quattro soldi in Spagna si possono fare un sacco di cose, a cominciare dal mangiar bene. Anche questo è Pil”, dice Sapelli. “Qualcuno potrebbe obiettare che anche l’Italia vive di turismo, come la Spagna. Vero ma è un Paese dove c’è un 20% che produce e il resto fa poco o nulla. Faccio l’esempio del Piemonte, che fino a qualche anno fa era una delle regioni più ricche d’Europa, oggi è al settimo-ottavo posto in termini di reddito”. Già, il reddito, magari quello di cittadinanza. Sapelli ne ha anche per la creatura di Luigi Di Maio.
“Diciamo le cose come stanno, è una misura contro la povertà, che però è affare diverso dalla disoccupazione. Perché se io contrasto la povertà è una cosa ma se non contrasto la disoccupazione allora non scatta quel moltiplicatore keynesiano che è alla base della crescita”. Non è tutto. “Vogliamo parlare della Pubblica amministrazione? Bene, se non si rimette mano alla Pa il reddito di cittadinanza rimarrà una forma di lotta alla povertà ma non alla disoccupazione, con le conseguenze sopra menzionate. Tradotto, se non funzionano prima i centri per l’impiego, il reddito non produrrà mai crescita, insomma un cane che si morde la coda”.
Il cerchio con Sapelli si chiude con il Venezuela e la sua crisi politica che sta dividendo il mondo. Anche qui l’economista fa due chiarimenti. “Primo, chi teme ripercussioni sul petrolio sbaglia perché il petrolio venezuelano non è di buona qualità, è grasso e se lo comprano si e no gli Stati Uniti. Sarebbe molto peggio per la produzione di greggio mondiale, se ci fosse una crisi politica in Brasile. Secondo, il problema non è tanto schierarsi con qualcuno. Semmai comprendere che le crisi si risolvono quasi sempre dall’interno, e in questo l’Europa farebbe bene a ricordarsi di Versailles”.