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Perché i sindaci disobbedienti sbagliano sul decreto sicurezza

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La disobbedienza civile ha una lunga tradizione. È utilizzata per contestare leggi o comportamenti dei poteri pubblici, per un ritenuto contrasto con i diritti civili o con principi fondamentali dello Stato. Si basa sulla rottura della convenzione che sorregge ogni comunità: il rispetto collettivo e personale delle regole. Esprime una delegittimazione dell’autorità statale, con un gesto altamente simbolico. Acquista credibilità per l’esposizione dei disobbedienti alle conseguenze personali del loro gesto. Il rifiuto di applicare una legge dello Stato da parte di sindaci della Repubblica non è disobbedienza civile. I sindaci non hanno una posizione di alterità rispetto allo Stato, come può essere configurata quella dei cittadini: essi sono parte integrante dello Stato, e come tali sono chiamati a rispettarne le leggi e a collaborare fedelmente alla loro attuazione.

Non possono, nel rispetto di elementari criteri di correttezza, delegittimare lo Stato e continuare ad esserne parte: se si trovano in una posizione di totale dissenso rispetto a leggi dello Stato, la reazione corretta non è la loro disapplicazione ma le dimissioni; se ritengono che vi sia un vero attacco alla Costituzione o ai diritti fondamentali dei cittadini, cosa che per il decreto sicurezza non sembra ricorrere, possono reagire nei limiti della Carta fondamentale ovvero denunciare un colpo di Stato o il sovvertimento del patto costituente, con argomenti e prove concludenti; non operano correttamente se, a parte ogni responsabilità penale e amministrativa, disapplicano la legge facendone ricadere le conseguenze non sulle loro persone, ma sull’istituzione che rappresentano e sulla comunità che li ha eletti.

La disapplicazione di una legge da parte dei sindaci, in violazione di basilari criteri di correttezza e rispetto delle regole di uno Stato di diritto, non configurabile come disobbedienza civile, integra quindi un atto di lotta politica attraverso gli strumenti amministrativi che la carica mette a disposizione. Sul tema immigrazione, qualcosa del genere avviene in altre parti del mondo, come nel caso dei sindaci di alcune città degli Stati Uniti che si rifiutano di collaborare con le autorità federali per il contrasto all’immigrazione irregolare.

Dal punto di vista istituzionale, la lotta politica attuata attraverso il rifiuto di applicare la legge evidenzia la prevalenza di logiche politiche sul rispetto delle regole della comunità, cioè in sostanza una carenza del senso dello Stato. E tale carenza è uno dei limiti storici del rapporto tra una parte della sinistra e le istituzioni, frutto di un assetto ideologico fondato sulla prevalenza di riferimenti politici di parte rispetto alle responsabilità istituzionali ricoperte. Va constatato che, dopo decenni di sviluppo della concezione progressista del rapporto tra politica e Stato, vi sono esponenti della sinistra che antepongono logiche di parte alle regole democratiche stabilite dall’ordinamento, facendo riemergere dal passato qualcosa che si pensava definitivamente sepolto.

Dal punto di vista politico, il comportamento dei sindaci dissenzienti produce un danno alla credibilità e stabilità delle istituzioni, ma nel contempo disvela gravi errori di valutazione. In una fase della storia d’Italia caratterizzata dall’affermarsi di un populismo con spinte antisistema, tendenti a contestare le istituzioni e le regole del sistema democratico, dalla rappresentanza politica all’accettazione delle decisioni sulla gestione del territorio, la delegittimazione istituzionale operata da sindaci di sinistra porta acqua al mulino del populismo; e nel contempo, rinnegando un lungo periodo di responsabilità politica e accreditamento istituzionale della sinistra in Italia, produce una modifica dell’identità e dell’immagine dell’area progressista, a tutto svantaggio sia di tale area, sia degli interessi della nazione.

Nel contempo, di fronte all’evidenza di una inadeguata gestione dei flussi migratori in Italia, che ha portato a una reazione popolare favorevole a una politica migratoria meno lassista, la scelta di insistere su una linea contraria al prevalente sentimento dei cittadini, per erroneo calcolo politico di contrasto al governo, allontana ancora di più la sinistra da vaste aree dell’elettorato. E questo, contro gli interessi della stessa sinistra, può portare consensi marginali in aree ampiamente arate della sinistra, ma allontana il consenso di matrice moderata e consolida lo spazio politico favorevole a una politica più severa nei confronti dell’immigrazione.



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