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Porti chiusi (o aperti?) e hot spot in Africa. Come evitare altre stragi di migranti in mare

Marina Militare

I naufragi dei barconi di migranti riaccendono le polemiche tra il partito umanitario e il governo. Il Paese si divide tra fautori dell’accoglienza e sostenitori della chiusura dei porti, esasperando le posizioni. Gli argomenti utilizzati per supportare le opposte tesi coinvolgono aspetti emotivi, politici e morali, che condizionano l’analisi e le soluzioni, ostacolando una valutazione obiettiva degli eventi, che resta tuttavia essenziale.

La questione centrale concerne le partenze dei barconi e il loro arrivo in acque internazionali. Alcuni si schierano contro interventi da parte delle autorità locali e a favore di estese operazioni di soccorso e prelievo in mare ai limiti delle acque territoriali, con apertura dei porti europei, per dare pronto aiuto in mare, limitare il rischio di naufragi, prestare rapida assistenza a terra.

Rispetto a tali opinioni va osservato che le partenze dei barconi rappresentano un elemento problematico del quadro migratorio, in quanto si inseriscono nel traffico illegale di uomini e donne, alimentano l’immigrazione di massa, mettono a rischio la vita dei migranti. Appare quindi ragionevole una politica di contrasto delle partenze, da realizzare attraverso un’efficace azione delle autorità locali e una disincentivazione attuata riducendo le prospettive di arrivo in Europa (tramite un efficace controllo delle acque territoriali e una limitata presenza di navi appoggio oltre le frontiere marittime, sempre nel rispetto delle regole sul soccorso in mare; e, soprattutto, tramite una chiusura dei porti).

In una logica opposta, va rilevato che una ridotta attività delle autorità locali, in terra e in mare, unita alla diffusa presenza di imbarcazioni in acque extraterritoriali, pronte a raccogliere i migranti dai barconi, e all’apertura dei porti europei, comporta l’incentivazione delle partenze e l’aumento del rischio di naufragi. Unico modo per contrastare i naufragi sarebbe il prelievo a terra di tutti i migranti, senza distinzioni tra rifugiati e non; e, per quanti partiti sui barconi, il coordinamento con i trafficanti, per consentire un ordinato ed efficace prelievo in mare. Quindi, in una logica favorevole alle partenze, o si coadiuvano flussi migratori di massa via terra, senza un previo vaglio della condizione dei migranti; o si pongono le imbarcazioni nazionali e internazionali a supporto dei trafficanti, al punto di creare una vera organizzazione di immigrazione di massa via mare, capace di ridurre i naufragi; oppure si resta a metà strada, ai confini della legalità, realizzando un sistema di soccorso e prelievo in mare inevitabilmente inadeguato  alla gestione di un consistente e crescente flusso di barconi, con ampio rischio di naufragi.

In ogni caso, è necessario garantire la condizione dei richiedenti asilo ed aiutare i rifugiati a raggiungere in sicurezza l’Europa. Sono quindi essenziali i corridoi umanitari. Ma le azioni concrete per realizzarli sono ancora insufficienti e mettono a nudo le responsabilità delle organizzazioni internazionali, dell’Europa e dei singoli Stati, in termini di impegni economici e logistici. Pur con tali limiti di contesto, è tuttavia possibile costruire una terza via tra il contrasto e il supporto ai barconi, capace di contenere i naufragi, consentire la gestione dei flussi, rispettare i diritti umani, garantire l’immigrazione legale dei rifugiati in Europa. La soluzione è quella dei centri di accoglienza in Africa, prossimi alle coste, in Stati che possano offrire un “porto sicuro”, come la Tunisia. Centri per la cui realizzazione il Vecchio continente dovrebbe  impegnare tutto il suo potenziale politico, economico e logistico. Centri che dovrebbero essere adeguatamente serviti da corridoi umanitari e gestiti dalle organizzazioni internazionali e dagli Stati, sotto il controllo degli organismi umanitari, con l’aiuto delle Ong attive nel settore.

In tali centri sarebbe possibile accogliere i migranti giunti via terra, e portare quelli che vengono soccorsi in mare, per la prima assistenza e il vaglio della loro condizione di richiedenti asilo. In tal modo si garantirebbero ai rifugiati canali legali di ingresso in Europa, senza dover ricorrere ai barconi; si disincentiverebbero le partenze via mare dei migranti economici (in quanto questi avrebbero consapevolezza di veder vagliato il proprio Stato di richiedenti asilo fuori dall’Europa); si limiterebbero i naufragi, sia per la riduzione delle partenze, sia perché sarebbe possibile organizzare un sistema di soccorso e prelievo in mare adeguato a flussi contenuti; si impegnerebbero risorse finanziarie proporzionalmente inferiori a quelle necessarie in Europa per accoglienza e assistenza, contribuendo all’economia dei Paesi ospitanti; si ridurrebbe il conflitto umanitario, politico e socioeconomico connesso all’immigrazione irregolare via mare.



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