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Perché l’accordo sulle trivelle mette a rischio il sistema energetico nazionale

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L’accordo raggiunto dalla maggioranza sul tema delle trivellazioni è sbagliato e controproducente. 18 mesi di moratoria, che possono diventare addirittura 24, e canoni più alti di 25 volte, si tradurranno inevitabilmente in una crisi del settore, che è strategico per il Paese e per il suo bilancio energetico. Inoltre ci preoccupa seriamente il futuro dei 15 mila addetti, tanti sono i lavoratori diretti e dell’indotto delle trivellazioni, e che coinvolgono regioni importanti quali la Emilia Romagna, le Marche e giù fino alla Sicilia.

Intervenire, inoltre, su un tema sul quale la Commissione europea, attraverso la revisione della direttiva (Off-shore Directive di prossima emanazione) sta facendo un ottimo lavoro, è semplicemente masochistico e rischia soltanto di fare il gioco di altri Paesi dell’Adriatico come la Croazia, che fra l’altro produce a pieno ritmo, e degli Stati del Nord Africa. La normativa europea in discussione, tra l’altro, è assolutamente attenta alle questioni ambientali, ed ha già ricevuto un parere favorevole dai Paesi nord europei, notoriamente sensibili al tema ambientale e “verde”. Saranno, infatti, possibili controlli di organismi indipendenti rispetto alle aziende coinvolte.

Pensare, infine, di risolvere il deficit energetico grazie alle rinnovabili non è ancora all’ordine delle cose fattibili, visto che al momento non sono assolutamente in grado di soddisfare la domanda interna di energia. La mobilitazione di Cgil, Cisl, Uil del 9 febbraio prossimo servirà anche a chiedere chiarezza su questa decisione del governo, una vera iattura non solo per il settore estrattivo e i suoi livelli occupazionali, ma per l’intera economia nazionale e del suo sistema energetico.

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