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L’amministrazione Trump e la relazione speciale con l’Italia. Parla Del Raso (Niaf)

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Joseph Del Raso è un punto di riferimento per la comunità italoamericana. Avvocato di lungo corso, partner del Dipartimento commerciale e presidente del desk italiano di Pepper Hamilton LLP, uno dei più antichi e influenti studi legali americani, già presidente della Niaf (National Italian American Foundation), da anni Del Raso fa da pontiere fra la business community e l’amministrazione americana e le controparti italiane. Repubblicano convinto, conosce personalmente il presidente Donald Trump e ha lavorato per anni come consulente del Republican National Committee (Rnc). Ai microfoni di Formiche.net racconta l’importanza strategica della visita a Washington di Enzo Moavero Milanesi, la special relationship di Trump con Conte e la fiducia del mondo imprenditoriale americano nei fondamentali dell’economia italiana.

Che significato ha la visita di Moavero a Washington?

Non è più importante di tutte le altre visite ufficiali dei governi italiani. Certo, in questo caso la visita di Moavero ha assunto un significato particolare perché l’Italia è uno dei più stretti alleati degli americani in un’Europa che vive tempi burrascosi, penso a quel che sta accadendo in Francia con Macron ma anche all’eventualità di un’hard Brexit. Anche Capitol Hill non vive giorni facili, c’è stato il cambio della guardia alla Camera fra repubblicani e democratici e lo shutdown prosegue.

Quanto conta l’Italia per Trump? A luglio sembrava ci fosse un’intesa spontanea con il presidente del Consiglio Conte..

Trump ha davvero una simpatia speciale per l’Italia rispetto agli altri alleati europei. Ero alla Casa Bianca lo scorso luglio quando è arrivato Conte, l’accoglienza è stata calorosa oltre il protocollo. Questa amministrazione più ancora della precedente valorizza l’alleanza strategica con l’Italia.

Quali sono i dossier che accomunano Italia e Stati Uniti?

Un primo terreno di comune interesse è sicuramente la guerra commerciale con la Cina e la difesa della proprietà intellettuale e dei marchi. L’Italia genera di continuo talenti creativi, e deve far fronte comune con gli Stati Uniti nella protezione di questi talenti. Un altro fronte che le due amministrazioni hanno in comune è l’immigrazione, Washington segue con molta attenzione le vicende italiane.

A luglio Trump ha fatto un pubblico endorsement all’Italia come terreno fertile per gli investimenti. C’è un interesse concreto della comunità finanziaria o sono solo formule di cortesia?

Parlo di continuo con esponenti della comunità finanziaria e imprenditoriale americana e posso assicurare che c’è grande fiducia nelle possibilità di investimenti in Italia. Gli imprenditori statunitensi investono solo dove c’è un ritorno. Penso alla scommessa riuscita di un gigante hi-tech come Apple con la Federico II di Napoli, dove ha aperto un centro di sviluppo app per Ios.

Non preoccupa il tiro alla fune con Bruxelles su deficit e debito?

È vero, di tanto in tanto una crisi politica mina la solidità fiscale del Paese, ma tutti i finanzieri che conosco guardano prima agli ottimi fondamentali dell’economia italiana come il suo alto tasso di risparmio privato e le sue riserve auree. Se lavorassi nella Farnesina cercherei di sottolineare questo aspetto all’estero.

C’è feeling fra questa Casa Bianca e la comunità italo-americana?

Non ricordo un presidente che abbia scelto così tanti italo-americani all’interno della sua amministrazione, penso allo straordinario lavoro del segretario di Stato Mike Pompeo, di origini abruzzesi, o a Kellyanne Conway, la consigliera personale del presidente. La stessa nomina di una figura di spicco come l’ambasciatore Lew Eisenberg per rappresentare i suoi interessi in Italia non è casuale: ha una lunga carriera politica e soprattutto è amico stretto del segretario del Tesoro Steve Mnuchin, non sono dettagli.

A proposito, ha fatto discutere il brindisi che l’ambasciata italiana a Washington ha tenuto in onore di Nancy Pelosi, nuova speaker democratica della Camera e avversaria di Trump…

Non ci trovo nulla di strano in un diplomatico straniero che accoglie un membro dell’opposizione in ambasciata per complimentarsi della sua nomina. Nancy Pelosi è una donna forte, è fiera delle sue origini italiane ed è rispettata da Trump. Varricchio è un ambasciatore rodato, non si spingerebbe mai a un endorsement di politica interna, si limita come ogni buon ambasciatore a tenere ottimi rapporti con tutti i segmenti della politica. Anche con Matteo Renzi a Palazzo Chigi l’ambasciata italiana a Washington ha accolto senza distinzioni democratici e repubblicani di spicco.

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