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Fissato il prossimo incontro Trump-Kim. Parte una nuova gara diplomatica

kim trump

Ieri la Casa Bianca ha diffuso pubblicamente la data indicativa per il nuovo incontro tra Donald Trump e il satrapo nordcoreano Kim Jong-un. Ci sarà a fine febbraio — location da decidere, ma molto probabilmente sarà a Danang, città costiera vietnamita che si affaccia sul Mar Cinese Meridionale. Poco prima che la portavoce Sarah Huckabee Sanders parlasse dalla press room, in un’altra stanza dello stesso edificio c’era stata una riunione operativa a cui aveva partecipato il presidente con un ospite d’eccezione. Nello Studio Ovale, il centro del potere americano, c’era Kim Yong-chol, generale del Nord, qualcosa di simile a un numero due del regime o al braccio destro di Kim (la descrizione della posizione potrebbe essere più chiara se la Corea del Nord non fosse quel regime chiuso e tenebroso che è).

Trump ha parlato con Kim Yong-ol dell’incontro prossimo con Kim, e “di denuclearizzazione”, ha detto Sanders. È un’affermazione generale e un po’ vaga, com’è vago il procedere dei talks sull’argomento, che è il reale punto di distanza. Washington vuole che il Nord distrugga tutto il suo programma atomico; Pyongyang chiede che gli Usa inizino col ritirare le truppe dal Sud e sollevare le sanzioni, e soltanto poi i nordcoreani congeleranno (non distruggeranno) il programma nucleare — è una situazione complicata, ma da tempo diversi esperti stanno iniziando a delineare l’impalcatura con cui gestire la Corea del Nord come una potenza atomica, e inserirla in un sistema di non proliferazione.

Nonostante queste complicate distanze, e i pochi passi avanti fatti dal dialogo dopo il primo incontro tra Trump e Kim del giugno scorso, il clima attorno al dossier nordcoreano è dialogante.

Anzi, i colloqui col Nord sono di nuovo tornati a essere il terreno per una corsa diplomatica che vede impegnate come teste di serie Stati Uniti e Cina, ma coinvolge anche altre nazioni (come Russia, Giappone, e soprattutto Corea del Sud). Che il faccia a faccia tra Trump e Kim fosse imminente, al di là delle info passate ai media (non senza strategia), lo aveva reso chiaro l’accelerazione cinese. Il presidente Xi Jinping aveva richiamato a Pechino Kim, per incontrarlo personalmente e rivendicare la centralità cinese sul dossier. Necessità confermata dalla notizia successiva: Xi aveva fatto sapere di aver accettato l’invito del satrapo-in-riqualificazione a Pyongyang.

L’incontro del messo nordcoreano a Washington è arrivato con 72 giorni di ritardo rispetto alla data prevista dal piano dei colloqui (il 7 novembre 2018). La Corea del Nord ha fatto saltare più volte meeting con Mike Pompeo, il segretario di Stato che ha la delega di Trump per gestire in termini generali il fascicolo Pyongyang (ieri Kim Yong-ol ha incontrato anche Pompeo) — anche se poi, per carattere del presidente, lui preferisce trattative dirette. Ieri Steve Biegun, rappresentante speciale americano per i colloqui col Nord, è volato a Stoccolma per vedersi con la sua controparte nordcoreana, Choe Song-hui, per decidere termini e agenda (e definire la location) del summit Trump/Kim.

Lo sforzo negoziale serve anche per riportare interesse (di media e opinione pubblica) su una questione che per mesi è stata affrontata — anche dalla Casa Bianca — come una guerra imminente e successivamente con un grande successo politico/diplomatico, ma che è di fatto immobile. L‘avvicinarsi del vertice tra Trump e Kim riaccende i motori al tutto.

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