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Perché Trump ha accettato il compromesso di Pelosi sullo shutdown

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“Pelosi won, Trump lost”, titola il pezzo di punta con cui l’Atlantic non spiega tanto lo sblocco temporaneo dello shutdown, ma le nuove dinamiche a Washington che la serrata federale ha messo in luce. Ieri il presidente Donald Trump s’è trovato costretto ad accettare un compromesso: ha dovuto firmare una legge per far ripartire fino al 15 febbraio la macchina statale, una decisione concordata dai congressisti repubblicani e democratici. Lo shutodown per il momento è sbloccato, ma senza i soldi che Trump chiedeva per costruire il muro con il Messico, la più controversa e aggressiva tra le promesse elettorali.

Il presidente ha annunciato che il governo riaprirà per tre settimane, dopo che la chiusura era stata imposta dal 21 dicembre a causa della mancanza di un accordo tra i due partiti statunitensi sulla legge di bilancio. I repubblicani, convinti dalla Casa Bianca, chiedevano 5,7 miliardi di dollari per costruire il Muro, mentre i democratici non volevano saperne, disposti al più a fornire iniezioni extra di soldi per le guardie frontaliere.

Il sistema bicamerale di Capitol Hill è la forza Dem, che dal 3 gennaio controllano la Camera per effetto delle elezioni di metà mandato. Senza il loro consenso non ci sarebbe stato modo di disincastrare il meccanismo. E la speaker Nancy Pelosi lo ha da subito utilizzato come leva, al punto che ha forzato la mano fino a convincere Trump a spostare il Discorso sullo stato dell’Unione causa shutdown, una scelta senza precedenti.

L’amministrazione – e dunque anche il partito repubblicano, e soprattutto la Casa Bianca – ha sofferto il peso della situazione (la più lunga della storia americana). Gli aeroporti iniziavano a fare ritardi perché il personale di terra della Tsa, Transportation security administration, non lavorando a pieno regime non poteva gestire i controlli ai passeggeri. Le chiusure dei primi gate dell’aeroporto La Guardia di New York, secondo alcuni analisti, è stato il motivo per cui si sono accelerate le mosse di sblocco e Trump ha ceduto (sono passate meno di tre ore da quando lo scalo ha chiuso a quando Trump ha fatto sapere di aver accettato l’offerta democratica).

C’erano 800mila impiegati federali rimasti senza stipendio. I sondaggi indicavano chiaramente la percezione tra i cittadini: Trump era considerato il responsabile dello stallo. In un paese che ha un approccio al risparmio piuttosto leggero – se si guadagna cento si spende cento, forse centouno – rimanere senza un paio di mensilità rende complicato trovare i soldi per non mandare insolute le scadenze. Lo sblocco permetterà di aprire anche al fondo speciale con cui pagare gli stipendi arretrati dopo la seconda paga saltata – ieri, venerdì 25 gennaio, giorno in cui il colpo economico prodotto dallo shutdown ha superato per costi i 5,7 miliardi per il Muro.

Dall’altra parte, i consensi per i democratici crescevano, la compattezza con cui il confronto con Trump era stato tenuto aveva dato spinta, anche se la Casa Bianca aveva cercato di disperdere il fronte pubblicando un comunicato in cui sosteneva che dozzine di congressisti Dem chiedevano al presidente di chiudere lo shutdown promettendo fondi per il Muro.

Pelosi ha chiuso un accordo vincente. Con i lavoratori federali ridotti quasi alla fame – i media americani raccontano che chi poteva negli uffici governativi portava aiuti alimentari ai colleghi su cui gravano mutui e spese extra – ha concesso 1,3 miliardi di fondi extra per la Border Patrol, ossia ha chiuso le trattative sullo shutdown con la stessa offerta con cui si era aperto (“È triste che ci sia voluto così tanto tempo per arrivare a una conclusione ovvia”, ha commentato). Non s’è mossa di un centimetro, e in una news-analysis il New York Times scriveva qualche giorno fa che il ruolo duro della speaker sarà un problema per Trump, che finora ha governato senza una vera opposizione e senza un avversario come lei.

Trump ha ottenuto la creazione di una commissione bipartisan inter-congressuale per studiare la fattibilità del Muro, ma i due leader dei Democratici che hanno gestito la crisi (Pelosi e il suo collego al Senato, Chuck Schumer) hanno già messo in chiaro che non intendono finanziare l’opera, né prima, né adesso, né mai. A quel punto, tra tre settimane, potrebbe esserci il secondo shutdown del 2019, oppure Trump potrebbe forzare la mano e scegliere di dichiarare la costruzione del Muro un’emergenza nazionale (e da lì accedere a fondi extra).

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