La campagna elettorale delle primarie democratiche inizia ad entrare nel vivo. Venerdì scorso, la deputata delle Hawaii, Tulsi Gabbard, ha annunciato di volersi candidare alla nomination dell’Asinello. “Ho deciso di correre e farò un annuncio formale nelle prossime settimane”, ha dichiarato durante un’intervista alla Cnn. “Ci sono molte ragioni per me per prendere questa decisione. Ci sono molte sfide che sta affrontando il popolo americano, di cui sono preoccupata e che voglio aiutare a risolvere”. In particolare, la deputata ha citato tematiche come la sanità, il cambiamento climatico e la riforma del sistema giudiziario. Battaglie che caratterizzano storicamente la sinistra del Partito Democratico.
Eletta per la prima volta nel 2012, la trentasettenne Tulsi Gabbard è la prima deputata del Congresso statunitense proveniente della Samoa Americane. Nonostante la giovane età, vanta alcune esperienze amministrative alla Camera delle Hawaii e al consiglio cittadino di Honolulu. Senza poi dimenticare la sua carriera militare: ha combattuto in Iraq tra il 2004 e il 2005, per poi essere inviata in Kuwait.
Il suo cuore batte a sinistra: un elemento che l’ha portata ad appoggiare le istanze profondamente progressiste del senatore “socialista”, Bernie Sanders, che appoggiò alle primarie del 2016, dopo essersi dimessa dalla vicepresidenza del Partito Democratico. Una vicinanza alla sinistra dem, che si è di fatto rinnovata a febbraio del 2017, quando decise di sostenere il candidato sandersiano alla presidenza dell’Asinello, Keith Ellison. Ma gli attriti con le alte sfere del suo partito non si fermano qui. Qualche giorno fa, la deputata ha infatti criticato alcune senatrici democratiche, che hanno contestato a un candidato giudice (nominato da Trump) di appartenere all’associazione cattolica dei Cavalieri di Colombo. Gabbard non ha esitato ad attaccare le colleghe, tacciandole di nutrire un pregiudizio anti-cattolico. “Pur opponendomi alla nomina di Brian Buescher alla Corte Distrettuale degli Stati Uniti in Nebraska, sono fermamente contraria a coloro che fomentano il settarismo religioso, citando come elementi squalificanti il cattolicesimo di Buescher e la sua affiliazione ai Cavalieri di Colombo”, ha scritto duramente. Tra i bersagli, compariva anche la senatrice delle Hawaii, Mazie Hirono, che non ha mostrato di essere troppo propensa ad accettare la critica.
Del resto, anche le posizioni politiche di Gabbard parlano abbastanza chiaro. In ambito economico, è sempre stata una feroce critica dei trattati internazionali di libero scambio: in particolare, si è duramente opposta alla Trans Pacific Partnership, tacciandola di produrre effetti negativi sui lavoratori americani. Quella Trans Pacific Partnership che, siglata da Barack Obama nel 2016, fu poi smantellata un anno dopo dallo stesso Donald Trump. Anche sulla politica estera, le sue idee non sono poi troppo in linea con quelle dell’establishment di Washington. Non soltanto ha in passato criticato la guerra in Iraq ma non sostiene un approccio eccessivamente muscolare nei confronti della Siria. Si è opposta ad ogni ipotesi di regime change ai danni di Bashar Al-Assad. Addirittura, nel novembre del 2016 ha incontrato l’allora presidente in pectore, Donald Trump, con l’obiettivo di ottenere il suo sostegno per fermare i tentativi di rovesciare il governo siriano. Inoltre, non bisogna dimenticare le dure prese di posizione contro l’Arabia Saudita: fattore che ha portato la deputata a criticare l’amministrazione Trump, soprattutto per l’accordo sulle armi siglato a maggio del 2017.
Insomma, è abbastanza chiara la vicinanza di Tulsi Gabbard all’ala sandersiana del Partito Democratico. E adesso l’annuncio di questa sua imminente candidatura mette nuovamente in risalto come la sinistra dem sia in particolare fermento. E che altri nomi sono in procinto di emergere. Soprattutto dopo che la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, ha dichiarato di aver creato un comitato esplorativo in vista di una sua discesa in campo. E che l’ex segretario allo Sviluppo Urbano, Julian Castro, ha annunciato la sua candidatura proprio ieri.
Certo è che tutto questo lascia aperte non poche domande. In previsione di una pletora di candidati abbastanza confusa, Tulsi Gabbard ha reali possibilità di farcela? Difficile dirlo. I suoi avversari, non soltanto repubblicani, già la accusano di non avere l’esperienza necessaria per la carica presidenziale. Probabilmente è anche vero ma non dimentichiamo che, da qualche anno a questa parte, il professionismo politico sia considerato un fattore negativo da buona parte dell’elettorato americano. Inoltre, rispetto ad altri astri nascenti del Partito Democratico (come la neo deputata Alexandria Ocasio Cortez), Gabbard può almeno vantare esperienze amministrative pregresse. Scheletri nell’armadio, poi, non dovrebbe averne: c’è stata, a dire il vero, una controversia con l’Ethics Committee della Camera nel 2017. Nulla di troppo grave. Ma che gli avversari potrebbero comunque ritorcerle contro durante la competizione elettorale. Senza comunque dimenticare che il fatto di aver servito nell’esercito e la sua scarsa propensione al dottrinarismo ideologico potrebbero renderla attrattiva a quote elettorali trasversali (e forse non esclusivamente confinate al tradizionale bacino democratico).
A questo punto, bisognerà innanzitutto vedere se Tulsi avrà l’effettiva capacità di creare una macchina elettorale organizzata ed efficiente. E – soprattutto – se sarà in grado di distinguersi efficacemente in seno a una campagna che si annuncia affollata e rissosa.
Il rischio che corre è infatti quello di affogare nella massa dell’indistinzione. Un pericolo che Tulsi deve assolutamente evitare se ha reali intenzioni di raggiungere lo studio ovale.