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Il ruolo strategico della Tunisia per la stabilità del Mediterraneo

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La Tunisia è al centro del mediterraneo, è un Paese islamico democratico e moderato, con una vera Costituzione post-rivoluzionaria, un governo di coalizione che include laici e islamici, una posizione delle donne all’avanguardia nel mondo mussulmano, un esteso tessuto produttivo, un’agricoltura in espansione, una popolazione ospitale e ben scolarizzata, lavoratori e professionisti di livello, un’ampia offerta turistica, un’efficace controllo di sicurezza del territorio, forze armate fedeli al governo e impegnate contro il terrorismo, una legislazione largamente adeguata alle convenzioni internazionali. La crescita economica tuttavia, benché ampiamente superiore al 2%, non è sufficiente ad offrire risposte adeguate alla domanda di lavoro di una popolazione giovane e in crescita, agli squilibri regionali, alla debolezza della divisa nazionale, al persistente deficit pubblico, all’eccessiva inflazione. Il sostegno del Fondo monetario internazionale non ha risolto i problemi di fondo. E il quadro generale resta caratterizzato da forti tensioni sociali, che sfociano periodicamente in proteste di piazza e alimentano la propaganda radicale.

In questa situazione è di tutta evidenza che l’Europa, e l’Italia in particolare, hanno interesse a sostenere la stabilità e lo sviluppo della Tunisia, per ragioni sociopolitiche, economiche e migratorie. La “rivoluzione dei gelsomini” è stata l’unica sollevazione del mondo arabo sfociata in una vera democrazia, capace di mediare le istanze laiche e religiose, perseguendo un modello di Islam moderato e tollerante, nella società e nella politica: il consolidamento socioeconomico dell’esperienza tunisina può rafforzare, nell’immaginario delle masse e nella dinamica dei rapporti internazionali, la prospettiva di regimi arabi sempre più democratici e tolleranti; e ciò a tutto vantaggio della stabilizzazione geopolitica dell’area del mediterraneo, dell’affermazione di valori fondamentali per l’Europa e della possibilità di dialogo e collaborazione con tutti i Paesi arabi.

Nel contempo lo sviluppo economico può ridurre il disagio della popolazione tunisina e quindi può ostacolare il radicalismo politico e religioso che si alimenta dell’emarginazione e della rabbia sociale, e che ha spinto molti giovani tunisini a diventare foreign fighters a servizio della Jihad. In tal modo si può contrastare la propaganda terroristica contro l’Europa e ridurre il rischio di innestare processi di disgregazione della giovane democrazia tunisina. Non è un caso che la Tunisia sia stata più volte attaccata da gruppi terroristici, con il palese obiettivo di destabilizzarla e creare le condizioni per un rilancio del radicalismo islamico. Inoltre lo sviluppo economico della Tunisia rappresenta un’opportunità di investimento per le aziende europee, che in quel Paese possono fruire di manodopera qualificata a basso costo, agevolazioni fiscali, amministrazione pubblica ragionevolmente efficiente, infrastrutture di buon livello, comunicazione in lingua francese. Infine, la crescita economica del Paese può rappresentare un obiettivo importante sul versante migratorio, sia per contenere i flussi in partenza dalla Tunisia verso l’Italia, sia per inserire il Paese in un progetto strategico di gestione dei flussi migratori in Africa e nel mediterraneo.

In tal senso, va preso atto che la Tunisia si è finora rifiutata di ospitare hot spot migratori sul proprio territorio e, seppure con eccezioni, di essere considerata un “porto sicuro” di sbarco per i migranti soccorsi o prelevati nelle acque prospicienti la Libia. È presumibile che la posizione del governo tunisino tenga conto della dimensione epocale dell’immigrazione dall’Africa subsahariana e si connetta all’esigenza di proteggere la stabilità socioeconomica del Paese, evitando flussi di migranti incompatibili con le capacità di accoglienza e gestione, anche con l’aiuto delle organizzazioni internazionali e dell’Europa. Tuttavia è ragionevole ritenere che la stessa posizione possa essere rivista, alla luce di un apporto più efficace alle esigenze del governo tunisino.

Ci sono buone possibilità che un piano strategico di sostegno all’economia tunisina, sul modello di quelli realizzati a favore di nazioni appena uscite dalla guerra o da gravi situazioni di crisi, certamente nell’interesse strategico e geopolitico dell’Europa, possa ridurre le partenze di migranti tunisini e indurre un cambiamento di posizione del governo di Tunisi, nel bilanciamento di costi e benefici, tale da gettare le basi per negoziati sul collocamento di hot spot nel Paese e sulla configurazione dei suoi approdi come “porto sicuro”, se del caso con i necessari adeguamenti sul piano normativo e logistico. E sembra corretto immaginare che un tale piano, comportando un modello di gestione dei migranti basato essenzialmente sulla loro gestione in Africa, sia in grado di meglio garantire corridoi umanitari per i rifugiati e di frenare i flussi migratori irregolari. A questo punto, di fronte alla dinamica degli interessi e dei valori in gioco, la scelta è politica.

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