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Da Sanders a Warren. Ambizioni e rischi della sinistra Dem

La senatrice democratica del Massachusetts, Elizabeth Warren, ha annunciato la creazione di un comitato esplorativo in vista di una candidatura per la nomination democratica del 2020. “La classe media americana è sotto attacco”, ha affermato in un video. E ha assicurato una linea durissima verso miliardari e colossi industriali.

La battaglia politica in casa dem si preannuncia affollata e rissosa. Né, del resto, potrebbe essere altrimenti, visto lo stato confusionale in cui versa l’Asinello. Nonostante sia infatti riuscito a conquistare la Camera dei Rappresentanti alle ultime elezioni di metà mandato, il partito fatica a trovare una linea politica chiara e resta ancora di fatto ostaggio di una estenuante lotta intestina tra il suo establishment e le correnti della sinistra.

E proprio a sinistra bisogna forse guardare per cercare di capire quale potrà essere il futuro di questa compagine. Alle elezioni del 2016, quest’area era riuscita a raccogliere un considerevole seguito elettorale, grazie soprattutto alla carismatica figura del senatore del Vermont, Bernie Sanders. Un autentico exploit, caratterizzato da una fortissima polemica nei confronti del potere di Wall Street e delle alte sfere dello stesso Partito Democratico. Un partito da cui l’arzillo senatore prese, tra l’altro, vigorosamente le distanze, autodefinendosi “socialista” (ricorrendo a un termine che, in passato, negli Stati Uniti ha quasi sempre avuto una connotazione spregiativa). Poi, una serie di circostanze portarono l’avventura di Sanders al naufragio. Non solo l’establishment dell’Asinello gli mise infatti i bastoni tra le ruote ma l’ascesa di Trump tra i repubblicani contribuì ad indebolirlo, visto che, su temi come il commercio e la politica internazionale, i due dicevano quasi le stesse cose.

È così che ebbe inizio la traversata nel deserto della sinistra dem: una sinistra che, nel febbraio del 2017, tentò di scalare la direzione del Partito Democratico, senza tuttavia riuscirci. Anche per questo, per cercare cioè di mantenersi viva, quest’area ha – nel corso degli ultimi mesi – cercato di portare avanti battaglie politico-parlamentari dall’impronta profondamente progressista. In particolare, si è concentrata sulla proposta di introdurre un sistema sanitario universale: un’idea cui molti democratici centristi non hanno mai guardato con troppo in simpatia.

E adesso, con le primarie che si avvicinano, le correnti radicali riprendono a fremere: pronte a tutto pur di cercare di conquistare la Casa Bianca. Il punto sarà capire se, anche questa volta, riusciranno a trovare quell’efficace compattezza che le ha caratterizzate due anni fa. Fattore, questo, tutto ancora da dimostrare. Oltre alla Warren, anche Bernie Sanders sarebbe intenzionato a correre. Ora, bisognerà vedere in che modo costoro sceglieranno di scendere in campo: se attraverso un’iniziativa coordinata (magari in ticket) o – al contrario – in reciproco contrasto (con il rischio così però di spaccare il fronte). Anche perché, nonostante idee abbastanza simili, questi due personaggi risultano radicalmente diversi sotto il profilo politico e organizzativo.

Nonostante in Italia sia stato spesso dipinto come una sorta di idealista ingenuo, nel 2016 Sanders si è mostrato di una pasta ben differente: al netto di posizioni spesso radicali, l’arzillo senatore è stato capace di mettere a punto una macchina organizzativa micidiale ed efficiente, caratterizzata da militanti motivati e da proficue tecniche di raccolta fondi. Elizabeth Warren, al contrario, si è sempre rivelata – almeno sino ad oggi – l’eterna promessa della politica americana. Professoressa ad Harvard, si tratta di un profilo molto preparato, che ha dato anche un concreto contributo alle restrizioni imposte da Barack Obama all’alta finanza. Ciononostante la senatrice non si è mai dimostrata una stratega elettorale e – molto probabilmente – le manca quel pragmatismo machiavellico che ha invece fatto la fortuna di Sanders. Non sarà forse un caso che, nonostante i numerosi rumor su una sua candidatura, alla fine abbia rinunciato a scendere in campo nel 2016.

In tutto questo, le incognite restano sul campo. Innanzitutto, bisognerà capire quale sarà il candidato repubblicano tra due anni: nel caso si trattasse di Trump, non sarebbe una buona notizia per la sinistra dem, visto che – come accennato – il magnate le ha sottratto svariati cavalli di battaglia programmatici (soprattutto per quanto riguarda il commercio internazionale). In secondo luogo, le correnti radicali dovranno evitare di scadere nel settarismo politico, senza al contempo dimenticare il fondamentale appoggio da parte delle minoranze etniche. Non dimentichiamo infatti che, alle primarie del 2016, Hillary Clinton ottenne il 78% del voto afroamericano: segno di come lo zoccolo duro dell’elettorato di Sanders fosse costituito principalmente da bianchi. Non a caso, secondo il Washington Post, Elizabeth Warren starebbe da settimane corteggiando le associazioni politiche afroamericane.

Insomma, il destino della sinistra dem resta appeso ad un filo. Oscillando tra le ambizioni di successo e il rischio di un inglorioso fallimento.


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