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Vucic sfida la piazza serba. Elezioni anticipate?

Dopo cinque settimane di proteste e cortei, il presidente serbo Aleksandar Vucic passa al contrattacco. E sfida i manifestanti dicendosi pronto ad elezioni anticipate.

Ancora ieri circa 15mila persone hanno sfilato contro il governo e il Sns (il Partito Progressista in maggioranza), nonostante il maltempo, per chiedere più libertà per giornali e giornalisti, e la riforma della legge elettorale.

VUCIC

“L’unico posto in cui si mostra la tua vera volontà è il seggio elettorale, il gioco è fatto”. Risponde così Vucic alla protesta di piazza che per cinque fine settimana ha caratterizzato Belgrado e la città meridionale di Kragujevac. La tesi sostenuta dal Presidente è indirizzata anche contro l’opposizione, rea secondo Vucic di cavalcare il malcontento popolare: “Abbiamo bisogno di ascoltare la gente, ma non sarò mai pronto ad ascoltare i leader politici che hanno distrutto il futuro di questo paese – ha detto dalle colonne del Financial Times – Non sarà facile per loro battermi. Sono soddisfatto: non c’è polizia nelle strade, niente scontri, niente problemi”.

I manifestanti hanno anche sfidato il rigido inverno che sta caratterizzando i Balcani in questi giorni pur di indossare gilet gialli per solidarizzare con il movimento francese di opposizione a Emmanuel Macron. Chiedono il licenziamento del ministro degli interni Nebojsa Stefanovic, oltre ad un’indagine approfondita sui mandanti dell’attacco contro Borko Stefanovic e dell’omicidio di Oliver Ivanovic, il politico serbo del Kosovo brutalmente assassinato. “Noi siamo il popolo”, “Fermare il tradimento, difendere la costituzione e sostenere la gente” e “Abbasso i ladri” si leggeva su striscioni e cartelli.

IN PIAZZA

I serbi non si fermano e annunciano altre due mobilitazioni, per il 12 e il 16 gennaio, primo anniversario dell’omicidio di Ivanovic. Nel mirino quella che l’ex ministro degli esteri, Vuk Jeremic, ha definito la “crescente autocrazia di Vucic su cui l’occidente chiude gli occhi”. E si è chiesto: “Hai davvero bisogno di aspettare un altro caso Khashoggi per venire in Serbia e dire non è così che le cose dovrebbero apparire in uno stato europeo? Sono convinto che se continueremo su questa traiettoria quella circostanza si verificherà”.

A sostegno della piazza, che non ha ufficialmente organizzatori partitici, si sono schierati in trenta fra associazioni, liste e movimenti tutti nel perimetro dell’opposizione: puntano il dito contro la presunta corruzione all’interno del partito di Vucic che dal 2012 vince le elezioni e solo da un anno ha iniziato il suo nuovo mandato.

Nell’ottobre 2018 il Serbian Progressive Party (Spp) ha celebrato il suo decimo anniversario con due soli leader in due lustri: Tomislav Nikolic, che ha portato l’Spp a vincere le presidenziali nel 2012, e ora Aleksandar Vucic, che governa il partito senza rivali.

DATI

Il principale antagonista è l’Alliance for Serbia (Szs), un ombrello di partiti che sventola i dati contenuti nell’ultimo rapporto europeo sulla Serbia, in cui il Parlamento di Bruxelles ha “fortemente” incoraggiato le autorità di Belgrado a “migliorare la situazione della libertà di espressione e della libertà dei media”.

Inoltre secondo l’ultima rilevazione di Reporter Senza Frontiere (Rsf) la Serbia è peggio messa tra tutti i Paesi balcanici per incitamento all’odio e libertà di stampa.

Lo ha detto la giornalista di Rsf Paulina Ades-Mevel al quotidiano Danas: “Ho avuto incontri con i più alti rappresentanti delle organizzazioni che si occupano della libertà dei media e abbiamo convenuto che la situazione dei media in Serbia è di gran lunga peggio che in altri paesi dei Balcani. Il livello di incitamento all’odio è preoccupante ed è in aumento anche l’umiliazione dei giornalisti”.

Sullo sfondo la doppia meta che Vucic ha messo nel suo mirino: da un lato la trasformazione della Serbia in un player riconosciuto nel frastagliato mondo balcanico. Lo dimostrano i vari capitoli di adesione all’Ue che sono in discussione, come quelli delicatissimi relativamente al potere giudiziario e all’alveo dei diritti fondamentali. Dall’altro appunto la questione della libertà dei media: secondo il rapporto di Reporters sans frontières la Serbia ha perso dieci posizioni.

KOSOVO

Altro elemento di frattura sociale è rappresentato dal Kosovo. Vučić ha recentemente ribadito che nemmeno l’appello personale del presidente americano Donald Trump potrebbe far ripartire i negoziati con il vicino Kosovo.

“Non c’è forza nel mondo, non un uomo al mondo che possa farmi parlare di qualsiasi cosa fino a quando le tasse non saranno ritirate”, ha detto Vučić in merito alla controversia commerciale che investe i confini tra i due paesi e la guerra commerciale, dopo la barriera alzata dal Kosovo sulle importazioni serbe.

Ma il presidente del Kosovo Hashim Thaci ha detto al Washington Post di essere “pronto a prendere in considerazione la possibilità di revocare le tariffe se per Kosovo verrà aperto un accordo di pace con la Serbia”. Parole che sono giunte dopo un abboccamento avuto a Berlino con l’ambasciatore statunitense Richard Grenell, molto vicino all’inner circle della Casa Bianca.

twitter@FDepalo

 

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