Bill de Blasio sarebbe pronto a scendere in campo. Secondo quanto riportato da Politico, il sindaco di New York punterebbe a candidarsi alla nomination democratica del 2020. Non soltanto, in passato, il diretto interessato non ha mai smentito le sue ambizioni presidenziali. Ma, in particolare, ha organizzato un viaggio per questa settimana nel New Hampshire: territorio, che tradizionalmente inaugura il processo delle elezioni primarie americane. Territorio, ritenuto generalmente fondamentale per arrivare alla nomination (nonostante sia bene ricordare che, nel 2008 e nel 2016, i vincitori delle primarie dem in questo Stato siano rimasti alla fine a bocca asciutta).
Insomma, il sindaco di New York sembra fare sul serio. Di orientamento profondamente liberal, nel corso del suo mandato da primo cittadino si è spesso battuto contro la piaga delle disuguaglianze sociali, limitando anche la linea securitaria in stile “law and order”, promossa dai suoi predecessori. Non a caso, ha costantemente intrattenuto relazioni piuttosto tormentate con il dipartimento di polizia di New York. Nella fattispecie, si è opposto alla pratica dello “stop and frisk”: la possibilità, cioè, di perquisire le persone per strada anche in assenza di comportamenti o azioni illegali. Una serie di posizioni che – come è facile intuire – hanno reso il sindaco fortemente gradito a buona parte del mondo liberal newyorchese.
Non è del resto un mistero che de Blasio abbia sempre voluto presentarsi come il federatore della sinistra democratica. Un’impresa difficile, per non dire ardua, in un panorama caotico e litigioso come è quello in seno all’Asinello. Il punto è pertanto capire quante reali chance di successo possa avere una sua eventuale candidatura. Pur trattandosi di una figura piuttosto popolare nel proprio Stato, non è che la situazione risulti particolarmente rosea.
Innanzitutto, partiamo da un dato di fatto. Storicamente i sindaci della Grande Mela non hanno mai avuto troppa fortuna nelle loro ambizioni di natura presidenziale: ricordiamo solo che un candidato popolarissimo come Rudolph Giuliani venne indecorosamente sconfitto nel corso delle primarie repubblicane del 2008: non solo a causa di una strategia elettorale fallimentare ma anche per l’incapacità di rappresentare istanze valide a livello nazionale. In secondo luogo, un altro problema potrebbe rivelarsi l’autoreferenzialità: un elemento che caratterizza sovente i politici provenienti dalla Grande Mela. Politici che, per intenderci, non sono spesso in grado di proporre programmi e idee abbastanza trasversali per poter attrarre voti anche al di fuori del cortile di casa. Senza poi dimenticare che, in queste primarie democratiche, di candidati vicini alle istanze del mondo liberal statunitense ce ne sono già svariati: dalla senatrice della California, Kamala Harris, alla senatrice del New York, Kirsten Gillibrand. Un fattore che renderà difficile a de Blasio la possibilità di emergere chiaramente, con propri tratti distintivi a livello programmatico.
Infine, andando al di là del perimetro della Grande Mela, non è affatto detto che la sinistra dell’Asinello abbia poi tutta questa voglia di compattarsi dietro al vessillo del sindaco. Innanzitutto perché non sembra, al momento, troppo focalizzato sulla questione della classe operaia della Rust Belt: questione che il Partito Democratico deve sbrigarsi ad affrontare seriamente, se non vuole replicare la disfatta di due anni fa. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che – nel 2016 – il sindaco abbia dato il proprio endorsement a Hillary Clinton, facendo per lei anche campagna elettorale in Iowa. Un elemento che molti sandersiani potrebbero non avergli perdonato: ancora oggi. Le accuse mosse a de Blasio di eccessiva vicinanza all’establishment non sono del resto nuove. E, in un contesto elettorale sempre più caratterizzato da radicati malumori anti-sistema, non è chiaro dove il sindaco voglia andare esattamente a parare.