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Abusi, full immersion della Chiesa nella catarsi di Papa Francesco

Alla ricerca della catarsi, della purificazione, la Chiesa universale guidata da Papa Francesco è scesa nell’inferno della pedofilia. Un viaggio lungo e coraggioso per smascherare le inconfessabili violenze e le sconvolgenti turpitudini compiute da sacerdoti e prelati. Una dolorosa elaborazione di malvagità, complicità e ipocrisie. Un’autoanalisi inedita, soprattutto per una organizzazione mistica e gerarchica come la Chiesa Cattolica, ma essenziale, afferma con determinazione Bergoglio, per riconquistare carisma e capacità di elaborazione profetica.

Ma da cosa nasce la pedofilia nella Chiesa e come estirparla? Questa la domanda di fondo scaturita, assieme alle lacrime e all’orrore suscitati dalle terribili testimonianze audio video di vittime di religiosi pedofili, in molti dei 190 fra presidenti delle Conferenze episcopali della Chiesa cattolica, capi delle Chiese orientali cattoliche, Superiori generali, esponenti della Curia romana e del Consiglio di Cardinali che partecipano alla full immersion dei 4 giorni di catarsi.

Una risposta dissacrante dal versante laico la fornisce lo scrittore francese Frédéric Martel autore di “Power and corruption inside the Vatican“ secondo il quale “la pedofilia è il frutto dell’omosessualità repressa nel clero”.

Diametralmente opposta l’opinione del filosofo e teologo Augusto Cavadi: “So che molti lo pensano, ma a me la spiegazione dell’obbligo del celibato dei preti non convince. Meno ancora mi convince la connessione fra omosessualità, anche essa diffusa nel clero, e pedofilia. Se così fosse non si spiegherebbero, nel mondo, le percentuali pressoché uguali di pedofili tra gli sposati e, in genere, gli eterosessuali. Le specificità negli ambiti cattolici sono, a mio parere, altre. Sulla prima ha insistito di recente lo stesso Bergoglio: il clericalismo pone i preti, rispetto alle vittime, in una posizione di potere e rispetto che incoraggia gli abusatori e scoraggia le denunzie degli abusati. Sulla seconda specificità neppure questo papa parla, perché non può e probabilmente non vuole: la sessuofobia cattolica che avvolge in un’aura morbosa la dimensione sessuale delle persone, adulte o minorenni”. Per Cavadi inoltre “Papa Francesco, da buon gesuita, ha capito che l’autocritica è il metodo migliore per arginare le critiche e che una maggiore trasparenza anche sui difetti ecclesiastici è l’unico modo per evitare il disastro irreversibile”.

Il summit del Vaticano sulla pedofilia nella Chiesa è comunque un’occasione storica assolutamente da non sprecare. “L’iniziativa di papa Francesco – afferma il filosofo – è ovviamente opportuna. Si potrebbe aggiungere che, rispetto alla longevità del fenomeno, è tardiva. Già una decina di anni fa, al tempo di Benedetto XVI, lanciai l’allarme con un libro – “Non lasciate che i bambini vadano a loro. Chiesa cattolica e abusi sui minori” – arricchito da una lunga prefazione di Vito Mancuso, ma la reazione degli ambienti cattolici fu molto dura e mi si accusò di fare allarmismo per ragioni di propaganda editoriale. Eppure chi apriva il libro leggeva, sin dalle primissime pagine, che la pedofilia non è un fenomeno esclusivo della Chiesa cattolica”.

Opinioni e critiche a parte, se si dovesse limitare alle diagnosi e non riuscisse a scavare e a cogliere le ragioni profonde di questo tragico e turpe malessere, il summit autoanalitico del Vaticano sulla pedofilia nella Chiesa si risolverebbe in una occasione mancata, probabilmente irripetibile. Per Papa Francesco la svolta deve essere tuttavia non solo retroattiva, ma soprattutto concreta e definitiva.

Una svolta di fede per trovare la forza, la capacità e l’onesta intellettuale di elaborare le linee di una terapia radicale che scongiuri l’insorgere e la perpetuazione degli abusi. La storia, la psicologia, la sociologia, il diritto, la filosofia, come anche la teologia, hanno un ruolo da giocare.


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