Tra relazioni diplomatiche, guerra al terrorismo e investimenti delle imprese italiane si è concluso il terzo viaggio di Giuseppe Conte in Paesi mediorientali. Il presidente del Consiglio ha visitato Kuwait, Iraq (con una puntata nel Kurdistan iracheno) e Libano. Al primo ministro iracheno, Adel Abdul Mahdi, ha garantito un appoggio sulla ricostruzione materiale in campo economico, sociale e culturale e la conferma dell’addestramento delle forze armate e di polizia. L’Isis resta ancora “una seria minaccia” e serve dunque uno sforzo collettivo, senza però entrare in dettagli diplomatici su come dovrà riorganizzarsi la coalizione internazionale dopo gli annunci americani sui ritiri di truppe. Conte ha rimarcato l’aiuto italiano in particolare nel settore sanitario, della sicurezza alimentare e dell’educazione, oltre al recupero del patrimonio culturale danneggiato dalla guerra su cui è impegnato lo specifico nucleo dei Carabinieri.
Significativo il passaggio a Erbil dove Conte ha incontrato il primo ministro del governo regionale del Kurdistan, Nechirvan Barzani, al quale ha dato atto degli “sforzi eccezionali” nella lotta al terrorismo e ha definito “una pietra miliare” l’autonomia curda e la struttura federale dell’Iraq. La città di Mosul sta ripartendo anche grazie a una quarantina di imprese italiane impegnate soprattutto in opere di ingegneria e servizi energetici mentre università italiane sono disponibili ad aiutare per recuperare il patrimonio archeologico.
A pochi giorni dall’insediamento del governo libanese, Conte ha incontrato a Beirut il premier Saad Hariri che ha chiesto l’aiuto di imprese italiane che potrebbero partecipare al programma Cedre, il fondo da 10,2 miliardi di dollari definito nella conferenza di Parigi per rilanciare il Libano in cambio di riforme economiche. Sul fronte della sicurezza, Conte ha confermato l’impegno italiano già manifestato con il comando della missione Unifil e con iniziative umanitarie, considerando che il 30 per cento della popolazione libanese è composta da profughi siriani.
Conte ha ringraziato i militari italiani in tutte le zone dove stanno operando: in Kuwait, presso la base dell’Aeronautica di Ali Al Salem; all’ambasciata di Bagdad e alla base di Camp Sinagra di Erbil: sono 1.018 i militari impegnati nella missione Prima Parthica tra Iraq e Kuwait e i Carabinieri hanno formato oltre 25mila unità irachene; infine ai soldati della missione Unifil ha rivolto “i sentimenti più grati” perché garantiscono “sicurezza e stabilità”, lavorando “per la risoluzione dei conflitti, per lo stemperamento delle tensioni, anche attraverso il meccanismo tripartito”, cioè le riunioni periodiche che l’Unifil supervisiona tra rappresentanti delle forze armate israeliane e libanesi. Un’attività “cruciale per la stabilità del Medio Oriente”. Nessun riferimento a Hezbollah, che nel dicembre scorso Matteo Salvini definì “terroristi islamici” durante la visita in Israele creando qualche problema anche nel governo italiano visto proprio il delicatissimo ruolo di interposizione svolto dai nostri militari.
Nella conferenza stampa tenuta a Bagdad, il presidente del Consiglio ha confermato per la fine di marzo il ritiro del contingente di Mosul, dove ha garantito la sicurezza durante i lavori alla diga, e derubricato a “fase assolutamente preliminare” la pianificazione chiesta dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, per un futuro ritiro di tutto il contingente dall’Afghanistan. Nell’occasione ha fornito un dettaglio importante spiegando che “su altri contingenti non è allo studio l’avvio di valutazioni tecniche”. Se ne deduce che l’impegno italiano nelle missioni internazionali non cambierà quest’anno: la conferma potrebbe arrivare solo dal decreto missioni 2019 che però ancora non approda in Consiglio dei ministri e dunque, essendo scaduto il 31 dicembre quello precedente, dal 1° gennaio scorso le missioni nazionali e internazionali sono “scoperte”.