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La secessione dei ricchi è il mezzo per sfasciare l’Italia

Di Pino Aprile
autonomia differenziata, Sud Mezzogiorno, federalismo

Quando cominciai a scrivere L’Italia è finita un paio di anni fa, il titolo parve eccessivo sulle conseguenze dell’autonomia differenziata chiesta dalla Lega (diritti differenziati: apartheid, come in Sud Africa prima di Mandela, in una Costituzione che li dichiara uguali per tutti). Ora, il mio libro diventa sempre più contemporaneo e il titolo più “giusto”. La secessione (mascherata da autonomia) è la tappa successiva annunciata dal presidente Luca Zaia, dopo i referendum inutili secondo la Corte Costituzionale, ma pomposamente detti plebisciti, anche se hanno votato sì un veneto ogni due e un lombardo ogni tre.

Il regionalismo differenziato non è causa, ma strumento della fine dell’Italia quale Paese unito: termine improprio, perché fu costruito duale, cioè diviso, con l’invasione e l’annessione del Regno delle Due Sicilie, la sua spoliazione (si legga Italica del professor Vito Tanzi, del Fondo monetario internazionale), e la riduzione a “colonia interna” (come denunciato da Antonio Gramsci e dimostrato da Nicola Zitara in L’invenzione del Mezzogiorno). Le norme dell’autonomia prevedono il trasferimento di 23 competenze dall’amministrazione centrale a quella regionale, ma solo per chi le chiede e per quante se ne chiedono. Servizi ai cittadini (sanità, scuola, trasporti, protezione civile) che darebbe la Regione, non più lo Stato; e devono essere trasferite anche le risorse necessarie.

Se per ogni studente italiano si spendono tot euro, li gestirà la Regione, non il ministero. Stessi poteri, ente diverso, costi invariati. Quattro giorni prima di morire, il governo Gentiloni firma il preaccordo con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Grave scorrettezza istituzionale: avrebbe dovuto lasciare al successivo un atto che cambierà l’assetto dell’Italia, fra Regioni a statuto speciale, ordinarie, e ad autonomia rinforzata o differenziata, di cui non c’è traccia nella Carta. I meridionalisti di Agenda Sud Calabria scoprono che i consulenti della Lega in quel testo hanno infilato una trappola (nessun ministro o costituzionalista se ne era accorto): dopo il primo anno, le risorse non saranno più in proporzione al costo dei servizi, ma al gettito fiscale dei territori, sino a raggiungerne il 90%. Ovvero: non più diritti per tutti in quanto cittadini italiani, ma ai ricchi sempre di più, ai poveri sempre di meno.

Con il decimo delle tasse residuo, lo Stato non può far fronte ai suoi compiti (Forze armate e il resto): l’Italia si rompe. L’inganno è nel far apparire “in più” e “regionali” (della Lombardia, del Veneto) tasse statali. Con lo stesso criterio, le tasse milanesi “in più” non dovrebbero andare ai bresciani; quelle di piazza San Babila restare in piazza e non andare ai poveri di Quarto Oggiaro… Quanto accade in Italia è chiarificatore a livello nazionale e mondiale: da sempre (salvo ai primi del Novecento e dopo la Seconda guerra mondiale) la politica italiana è non ideologia, ma geografia: concentra a nord le risorse pubbliche, e lo nasconde dietro sguaiata retorica nazionalista e accuse di “troppi soldi al sud” (dove il 34% della popolazione riceve il 28%).

Con l’euro non c’è più il ricorso alla svalutazione che rimescolava le cose e ora cade l’ultimo velo: la Lega ha chiesto l’autonomia (e referendum) in concorrenza con M5S del nord e l’appoggio di centrodestra e Pd del nord. I consiglieri Pd di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (“piddini per Salvini”), con un incredibile documento congiunto, impegnano il partito (formalmente all’opposizione) a sostenere la Lega sull’autonomia. Il Pd del sud muto: secessione compiuta? In L’Italia è finita spiego che, con la civiltà informatica (1989), si adegua il mondo alle esigenze dell’economia che ne deriva: la civiltà agricola uccise il nomadismo e inventò i recinti; quella industriale creò gli Stati nazionali e l’Italia fu il laboratorio per varare il metodo. Ora lo è per la distruzione degli Stati nazionali, che intralciano la globalizzazione. E risorgono identità locali separatiste (Veneto, Catalogna, Baviera, Texas, ecc.). Steve Bannon, già consigliere del presidente Usa Trump e ora di Salvini, dice che oggi “Roma è il centro della politica mondiale”. La secessione dei ricchi (il professor Gianfranco Viesti e 15mila firmatari hanno lanciato un appello ai presidenti della Repubblica e delle Camere) è il mezzo per sfasciare il Paese mai davvero unito, scappando con la cassa e lasciando ad altri il debito. Su questo (chi lo paga?) si arenò la secessione fra Fiamminghi e Valloni, in Belgio.

 

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