Mentre in Italia si discute animatamente sul futuro di Bankitalia e sulla “discontinuità” che il governo gialloverde vorrebbe, la vera partita che si sta giocando in Europa riguarda cosa succederà alla Banca Centrale Europea per il post Mario Draghi. Il governatore, in carica dal 2011, non può più essere ricandidato e in queste settimane è in corso una battaglia tutta politica che va di pari passo alle elezioni europee che a fine maggio disegneranno un nuovo governo per l’Europa. Il governatore dell’Eurotower viene scelto dal Consiglio Europeo, l’assemblea dei capi di stato e di governo dell’Unione, ed è certamente l’incarico più importante in questa fase di crisi economica e di crescita di politiche nazionalistiche e antieuropee.
Per momento il candidato più forte è considerato Jens Weidmann, presidente della Bundesbank ed ex consigliere economico di Angela Merkel. Weidmann ha dalla sua la giovane età, 51 anni, e soprattutto il fatto di essere tedesco. Non è una banalità, questa. Nella sua storia la Germania non ha mai espresso un presidente della Bce e, al momento, non c’è nessun tedesco nei ruoli politici che contano all’interno dell’Unione. È anche vero che Weidmann, considerato un falco, si è sempre opposto alle politiche della Bce degli ultimi anni come l’abbassamento dei tassi di interesse, misura su cui Draghi ha puntato molto e pensata per permettere alle banche di immettere denaro nell’economia. Non solo Weidmann ha anche chiesto più volte la chiusura del quantitative easing (che è avvenuto solo lo scorso dicembre), il meccanismo di stimolo alla crescita con cui la Banca centrale compra titoli di stato (per molti ha di fatto salvato l’Italia dalla bancarotta) dalle banche private per garantire loro una maggiore liquidità e che è stata una manovra sostenuta vigorosamente da Draghi durante tutto il suo operato. Una sponda importante per la sua nomina però potrebbe arrivare proprio dal nostro governo. È stato il ministro dell’Economia, Giovanni Tria ad aver confidato al settimanale Die Welt di essere “aperto” alla candidatura di Weidmann e che “la decisione non dovrebbe essere troppo condizionata dagli eventi del passato”. Il ragionamento che si fa in via XX Settembre è quello di avere dalla propria parte un Paese come la Germania che, a differenza di quanto sta accadendo con il presidente francese Macron, non si è mai mostrata ostile al governo della Lega e del M5S.
Fantapolitica? Neanche tanto se si considera che come outsider nelle cancellerie europee si fanno i nomi del finlandese Erkki Likanen, già commissario europeo nel gabinetto di Romano Prodi e di Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia. Il primo però avrebbe uno spessore “troppo basso” rispetto agli standard della Bce e sarebbe anche inviso a molti Paesi del Sud Europa (Spagna in testa), il secondo pagherebbe i rapporti tesi tra Parigi e Roma e potrebbe avere una bocciatura proprio del nostro esecutivo. In tutto questo non si sa bene quale sarà l’indicazione di Mario Draghi per il suo successore. Un suo endorsement – per la verità molto improbabile – potrebbe spingere la candidatura di qualche tecnico che però dovrebbe avere il bene sempre placido politico dell’asse franco-tedesco.
La partita è aperta e strettamente legata a quale Europa verrà fuori dopo le elezioni del 26 maggio. Perché se il nuovo presidente della Commissione europea sarà un tedesco – molti puntano la fiche su Manfred Weber capogruppo del Partito Popolare Europeo – è chiaro che le quotazioni di Weidmann verranno azzerate e salirebbero quelle di un esponente francese. Intanto c’è da registrare la presa di posizione del Wall Street Journal che segnala non a caso come “con le elezioni per il Parlamento europeo che si avvicinano e i partiti anti-Ue populisti che raccolgono consensi, il rischio è che la posizione cruciale della presidenza della Bce finisca a qualcuno di non adatto nell’ambito di una spartizione dei posti”. Già, intanto Mario Draghi che il 22 febbraio riceverà dall’Università di Bologna la laurea ad honorem per “il ruolo svolto nella difesa dei Trattati dell’Unione Europea e per la promozione di un’Unione bancaria europea attenta alla protezione dell’interesse pubblico e dei risparmiatori” sta in rigoroso silenzio, temendo che tutto quanto fatto di buono fino ad ora possa disperdersi in sterili polemiche nostrane.