Carige ha finalmente scoperto le carte sul piano industriale con orizzonte 2023 che dovrà traghettare la banca ligure verso la fusione con un altro istituto dalle spalle più grosse. Sempre che ci sia qualcuno disposto ad accollarsi Carige, finita negli ultimi mesi in bilico a causa del mancato aumento, prima di Natale, da 400 milioni, bloccato dal principale azionista, la famiglia Malacalza. L’alternativa, nemmeno troppo remota, è l’ingresso dello Stato con una quota di maggioranza: una nazionalizzazione in stile Mps anche se lo stesso ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha sempre detto di preferire la soluzione di mercato.
Sul piatto adesso c’è un rilancio da 630 milioni, con i quali mettere in sicurezza la banca e, soprattutto, i suoi coefficienti patrimoniali. L’obiettivo che si sono dati i tre commissari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener è quello di una banca ben ripulita dai crediti deteriorati, più leggera sotto il profilo dei costi operativi, e per questo pronta per essere acquisita da un altro soggetto finanziario. Per farlo saranno necessarie una serie di azioni, nessuna delle quali, sia chiaro, indolore. Tanto per cominciare, un aumento di capitale da 630 milioni di euro da realizzare entro il primo semestre del 2019. Ai 400 milioni di euro dell’aumento bloccato per l’astensione del socio Malacalza a dicembre, si aggiungono ulteriori 120 milioni per il derisking, 65 milioni per maggiori investimenti e 45 milioni per compensare gli effetti dello stop al primo rafforzamento.
In questo modo Carige prevede di raggiungere già nel breve termine, fra fine 2019 e inizio 2020 il pareggio nel bilancio. Nel corso di quest’anno ci sarà, nei piani dei commissari “il definitivo derisking degli attivi e il rafforzamento patrimoniale”, con l’iniezione di nuovo capitale con cui tra le altre cose rimborsare integralmente il bond emesso a fine 2018 e sottoscritto dal Fondo interbancario di tutela dei depositi. L’altra grande operazione, collaterale alla ricapitalizzazione da 630 milioni, è la pulizia di bilancio. Ovvero la cessione di cospicui stock di npl.
Il piano firmato Modiano-Lener-Innocenzi punta infatti a una massiva riduzione dei crediti deteriorati per portare l’Npe Ratio Lordo al 6-7% nel 2019, rispetto al 22% attuale, con la cessione di circa 2,1 miliardi di euro di posizioni classificate in sofferenza e inadempienza probabile. Di queste, circa 1,9 miliardi sono state già definite come dall’offerta ricevuta lo scorso 22 febbraio e i restanti 0,3 miliardi saranno smaltiti nel quadro di un’operazione di sistema, mentre circa 0,7 miliardi di altri posizioni deteriorate, di cui 0,5 già definite, saranno ristrutturate. L’obiettivo dell’intera manovra è quello di ridurre strutturalmente il profilo di rischio di Carige, rivedendo integralmente il modello di business al fine di assicurarne la sostenibilità in ottica stand alone e consentendo la generazione di una soddisfacente remunerazione del capitale.
Tutto questo però, avrà un costo, anche in termini di personale. Tra il 2019 e 2023 per Carige si prevedono tagli di circa 1.050 Full Time Equivalent, ovvero posizioni a tempo pieno, e di oltre 100 sportelli tradizionali. A sentire il commissario Modiano però è tutto necessario. “Siamo in grado di stare in piedi, non c’è un circolo vizioso inaccettabile. Il punto di pareggio è molto più vicino di quanto dicano i numeri, al netto di tutti gli oneri straordinari che hanno gravato sul 2018 e graveranno sul 2019”. E comunque “questo piano non è l’ultimo che si farà per rappresentare il futuro dell’azienda. E un piano prodromico, indispensabile e di ragionamento, che mettiamo a disposizione di chi è interessato al nostro futuro”.