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È la fine del clericalismo la svolta contro gli abusi

Le parole di monsignor Scicluna, che molti chiamano “il procuratore anti-abusi della Santa Sede”, sono chiare. A Vatican News ha detto: “Il Papa ha anche voluto sottolineare che sarà il Popolo di Dio a liberarci dalla piaga del clericalismo, terreno fertile di questi abomini. Anche perché questa lotta non è solo dei vescovi e dei sacerdoti ma appunto di tutto il Popolo di Dio”. Davvero? Se è così questa volta la Chiesa sembra aver imboccato una strada nuova e l’atto legislativo, il motu proprio, che papa Francesco si appresterebbe a divulgare in merito alla lotta agli abusi sessuali nella Chiesa lo potrebbe incarnare. Perché se questo motu proprio del pontefice contenesse una riforma del segreto pontificio e l’istituzione ovunque di quell’autorità indipendente, costituita da chierici e laici, alla quale le vittime, o presunte tali, si potrebbero rivolgere, allora cadrebbe un muro.

Una conferma lucidissima e importantissima di questa visione l’abbiamo già avuta nelle parole del papa. Lui, il papa che ci ha insegnato che l’identità di Dio si chiama misericordia, ieri ha evocato l’ira di Dio, che sin qui si è conosciuta per divorziati, fruitori della pillola anticoncezionale, partecipi del dramma di Piergiorgio Welby, i cui funerali vennero proibiti nonostante avesse rispettato la legge cattolica che proibisce l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione ma non della ventilazione. Ora la conosciamo per qualcosa che la merita davvero, gli abusi di minori; ma come la conosciamo? La conosciamo attraverso l’ira del popolo di Dio, ha detto Francesco. Ma perché l’ingresso delle vittime e dei laici nel meccanismo decisionale e nella discussione canonica sarebbe così importante? E perché ci si potrebbe arrivare adesso? La risposta la troviamo in Sant’Ignazio di Loyola e nei suoi esercizi spirituali. Ma per arrivarci abbiamo bisogno di un gesuita. E gesuita certamente è padre Paolo Dall’Oglio. Nel suo libro “Collera e luce” il gesuita racconta dei suoi primi anni in Siria, dove presto si abitua a parlare sempre come se potesse essere spiato, ascoltato. E spiega: “Quando mi chiedono dove ho imparato questo, rispondo: forse nella chiesa cattolica! Essa infatti funziona da molto tempo, che lo si voglia o meno, come una struttura ideologica scarsamente pluralista, parecchio direttiva e profondamente dogmatica. Invece di pensare si pensa ciò che si deve pensare. Invece di esprimersi, ci si ricorda di ciò che si deve dire. D’altra parte l’espressione ‘dobbiamo dire’ è una formula di rito. Il rischio legato a questo genere nei diktat è l’interiorizzazione incosciente, e dunque molto pericolosa, della sottomissione a un’autorità incontestabile. Cercare di liberarsi di questo giogo è un ottimo esercizio di libertà: del resto sant’Ignazio ne è stato un raffinatissimo maestro nei suoi esercizi spirituali.”

Questo esercizio di libertà nella Chiesa ha avuto chiaramente un sussulto con il pontificato di Francesco. In un’intervista importantissima rilasciata a padre Antonio Spadaro, Francesco ha ricordato le opposizioni polari di Romano Guardini affermando che “l’opposizione apre un cammino, una strada da percorrere. Romano Guardini parlava di un’opposizione polare in cui i due opposti non si annullano. Non avviene neanche che un polo distrugga l’altro. Non c’è né contraddizione né identità. Per lui l’opposizione si risolve in un piano superiore. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate, non sono come le contraddizioni”.

Queste parole Francesco le ha messe in atto con i suoi comportamenti nella Chiesa; adesso sembra determinato a procedere su un altro fronte di libertà, quello che libera la struttura dalla percezione di dover difendere se stessa e la sua “incontestabile autorità”. E allora non può che tornare nelle nostre menti la parola “discernimento”, così ignaziana, così frequente in Bergoglio. E cosa c’entra con tutto questo “il discernimento”? C’entra con la libertà, come spiega benissimo un altro gesuita, padre Gaetano Piccolo: “Il discernimento (che letteralmente vuol dire fare una cernita) non significa semplicemente scegliere secondo il buon senso, ma mettersi in una situazione di libertà interiore per sentire verso dove Dio ci spinge”. L’opposto di quel pensare ciò che si vuole. Si pensi a ciò di cui si è parlato in precedenza.

In definitiva la strada che è emersa da questo vertice non si risolve in appelli alla “tolleranza zero”, certamente preziosi, ma che hanno bisogno di una cultura per diventare realtà. E individuare nel clericalismo il malanno, la malattia, è la strada giusta; e proprio perché giusta, impervia.

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