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Stringere rapporti e approfondire dossier comuni. Il viaggio in Cina di MbS

Il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, l’uomo che sta guidando il paese verso un rinnovamento che passa anche dalla differenziazione economica dal petrolio e per la spinta a uno sviluppo tecnologico, è in Cina, dove è stato accolto a braccia aperte. Pechino vede “un enorme potenziale” in Riad, dice il ministero degli Esteri, soprattutto sul fronte dell’high-tech, enorme area economica su cui i cinesi stanno spingendo moltissimo, secondo il piano “Made in China 2025”, ideato dal presidente Xi Jinping per arrivare a un’indipendenza assoluta sulle linee produttive del settore.

Bin Salman (anche MbS) incontra Xi, che tra le varie cose sta caratterizzando il suo mandato con il rafforzamento della presenza cinese in Medio Oriente, trasformato in uno degli obiettivi chiave della sua politica estera, nonostante il tradizionale ruolo di basso profilo di Pechino e i continui chiarimenti sull’obiettivo che la Cina vuole svolgere nella regione da parte degli editorialisti dei principali media statali; solo per esempio: negli ultimi giorni sono usciti articoli sul Global Times e sul Giornale del Popolo, due edizioni quotidiane emanazione del Partito comunista di governo, in cui si spiegava come la Cina “non sarà un attore geopolitico in Medio Oriente: non ha nemici e può cooperare con tutti i paesi della regione” – una sorta di rassicurazione incrociata che ha per oggetto sia gli israeliani che i sauditi, come gli iraniani (a inizio settimana il capo della diplomazia di Teheran era in Cina), che nell’area si trovano su fronti opposti di una competizione regionale mentre stringono tutti deal con il Dragone.

Pechino sta da tempo corteggiando Riad, che – come dice quella nota del ministero degli Esteri – ha “il diritto di svilupparsi”, perché le visioni economiche di MbS prevedono investimenti di ampio raggio, allargamenti e aperture. Senza però dimenticare la forza del petrolio: Saudi Aramco, il gigante saudita primo esportatore mondiale del bene, ha firmato un accordo per costruire un impianto di raffineria e petrolchimico nella provincia nordorientale cinese di Liaoning. Un progetto che i dirigenti dell’azienda saudita (compagni di viaggio di MbS) hanno chiuso in joint venture con il conglomerato della difesa cinese Norinco. Obiettivo non secondario: riconquistare il ruolo di leader nell’esportazione di greggio in Cina, dopo che la Russia negli ultimi tre anni ha soffiato il ruolo a Riad (e infatti sono previsti anche accordi con altre raffinerie).

“L’iniziativa della Nuova Via della Seta e l’orientamento strategico della Cina sono molto in linea con la Vision 2030 del regno”, ha affermato il principe ereditario mentre ricordava come per “centinaia, persino migliaia di anni, le interazioni tra noi sono state amichevoli”. Relazioni concretizzate in 35 accordi firmati in questi due giorni, dal valore complessivo di 28 miliardi di dollari (fonte SPA, l’agenzia di stampa statale saudita che fa da portavoce al regno).

(Nota: Vision 2030 è il progetto socio-economico-commerciale con cui MbS vuole spingere la sua nuova Riad; la Nuova Via della Seta, nota con l’acronimo inglese Obor, è invece il programma geopolitico-commerciale pensato dal presidente Xi per unire l’Eurasia sotto la spinta cinese. Sono entrambi piani di sviluppo che caratterizzano fortemente l’azione di governo attuale e futura dei due leader, che guideranno i rispettivi paesi secondo un mandato a vita.)

La relazione tra Cina e Arabia Saudita è costruita anche su posizioni discrete prese dalle rispettive diplomazie su questioni delicate: per esempio, ieri MbS ha detto che Pechino ha tutto il diritto di alzare il livello del controllo nella provincia dello Xinjiang — dove i cinesi hanno avviato dei metodi di soppressione del rischio terroristico che passano dai campi di rieducazioni alle azioni di polizia predittiva (tramite software di intelligenza artificiale) contro gli uiguri, una minoranza islamica che in passato ha avuto episodi di radicalismo (alcuni sono partiti per il jihad califfale nel Siraq). Pratiche piuttosto criticate sotto l’aspetto dei diritti umani da altre parti del mondo. D’altronde Pechino non ha mai espresso una posizione diversa da quella ufficiale costruita da Riad sul caso Khashoggi, scagionando il regno da ogni coinvolgimento nell’uccisione dell’editorialista del Washington Post.

L’argomento diritti è una questione piuttosto delicata e sentita in entrambi i paesi, su cui sia Riad che Pechino non gradiscono affatto interferenze esterne. Cinesi e sauditi hanno un’enorme incongruenza tra la spinta futuristica e visionaria con cui vogliono poptare avanti le proprie economie e le condizioni su diritti civili, libertà e democrazia, a cui sono sono sottoposti i propri cittadini.

L’incontro è piuttosto interessante anche in un’ottica allargata, perché l’Arabia Saudita ha rafforzato i suoi collegamenti con gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump, che allo stesso tempo ha avviato un confronto globale con la Cina; aspetto su cui la Casa Bianca ha una visione in polarizzazione, tra alleati (e dunque contro-Pechino) e avversari. Sauditi e cinesi hanno contatti su un altro attore terzo, la Russia, con cui la Cina sta rafforzando la cooperazione – frutto anche di quella polarizzazione spinta da Washington – e Riad ha intavolato un colloquio proficuo sul controllo di prezzi e produzioni di petrolio.

(Foto: spa.gov.sa)

 

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