Alla Commissione della Camera per la Vigilanza e le Riforme è andata in scena la testimonianza spettacolarizzata di Michael Cohen, ex avvocato personale di Donald Trump implicato in diversi processi che hanno a che fare anche con l’affaire Russia. Cohen sta già collaborando con gli inquirenti, e ha completamente rotto il rapporto che lo legava a Trump, che lo accusa di essere un debole, di essersi piegato ai magistrati e di infangarlo per ottenere sconti di pena. L’avvocato – che ieri s’è già presentato davanti alla Commissione Intelligence del Senato, ma a porte chiuse – ha iniziato la sua testimonianza con una deposizione spontanea in cui ha definito Trump “un razzista, un truffatore, uno che bara” sotto gli occhi delle telecamere dei canali all news.
Cohen è stato per molto tempo un confidente di Trump, ingaggiato non solo per pratiche professionali, ma anche come faccendiere. Finito a maggio scorso nell’inchiesta che lo special counsel Robert Mueller sta conducendo sui rapporti tra il comitato Trump e la Russia, tre mesi dopo s’è dichiarato colpevole di otto capi d’imputazione, accettando di collaborare. Oggi, sfruttando la testimonianza sotto giuramento dalla Camera, i membri dei due partiti della Commissione hanno usato due strategie diverse nell’interrogarlo: i deputati democratici hanno portato avanti le loro domande in modo da mettere in difficoltà il presidente, sfruttando lo stretto legame che l’avvocato aveva con Trump come fattore determinante. I Repubblicani hanno invece cercato di screditarlo, provando a far passare Cohen sul solco tracciato già dal presidente (sta facendo tutto per ottenere sconti su reati che ha commesso personalmente), però va tenuto conto che la testimonianza da lui offerta è assolutamente volontaria e non serve a ottenere altri sconti di pena.
Cohen ha detto cose piuttosto pesanti sul conto di Trump, e quello che è successo è abbastanza raro: difficilmente un testimone così intimo di un presidente s’è presentato davanti ai congressisti con quel genere di accuse. Tra le varie cose, Cohen ha detto di Trump: “È capace di comportarsi gentilmente, ma non è gentile. È capace di commettere atti di generosità, ma non è generoso. È in grado di essere leale, ma è fondamentalmente sleale”. Ma non è tanto questo, quanto alcune dichiarazioni specifiche a essere il centro dell’interesse della deposizione.
Per esempio, Cohen ha parlato dei rapporti con funzionari governativi russi che lui stesso tenne durante la campagna elettorale del 2016. Lo scopo di quei contatti era la costruzione di un grattacielo Trump Tower a Mosca, progetto su cui l’attuale presidente era impegnato da anni, ma diceva di essersene tirato fuori dal momento in cui si era candidato. Cohen ha detto che non è andata così, e che lui aveva costantemente informato Trump dei colloqui con i russi. Il fatto che il presidente abbia pubblicamente mentito su questo, unito alle richieste di aiuto sul progetto che secondo Cohen l’allora tycoon candidato repubblicano aveva fatto arrivare fino a Vladimir Putin, è piuttosto significativo. Il business trumpiano può costituire uno di quei kompromat, ossia dossier compromettenti con cui esercitare ricatto, che secondo alcune ricostruzioni Mosca usa per far leva sul presidente americano?
Cohen ha anche detto di aver ricevuto da Trump l’ordine di mentire al Congresso (in altre testimonianze precedenti) su questa vicenda; e poi ha anche parlato del pagamento di 130mila dollari fatto all’attrice porno Stormy Daniels perché non parlasse di una relazione sessuale extraconiugale avuta con Trump anni fa. Cohen dice che è stato l’attuale presidente, durante i giorni della campagna elettorale, a chiedergli di pagare il silenzio della donna per non subirne conseguenze in termini di consenso. L’avvocato dice addirittura di aver ricevuto il rimborso per quei pagamenti da Trump, quando era già diventato presidente (Cohen ha mostrato le copie degli assegni).
Poi ha parlato anche di Roger Stone, altro amico e collaboratore di Trump, e storico stratega repubblicano (ora in carcere), che aveva contattato Julian Assange di WikiLeaks affinché venissero pubblicati sul sito dell’organizzazione le mail che gli hacker russi avevano sottratto al Comitato nazionale democratico e alla contender Hillary Clinton. Cohen dice che Trump era a conoscenza di questo piano per screditare la sua avversaria.
Poi altro, minore ma non meno imbarazzante per il presidente. Per esempio, Cohen ha raccontato che Trump gli chiese di intimare alle università e scuole che aveva frequentato di diffondere i suoi i voti (ha mostrato documenti a riguardo); l’avvocato ha detto (rispondendo a una domanda della deputata democratica Jackie Speier) che quel genere di minacce e intimidazioni lo avrebbe fatto, per conto di Trump, “probabilmente 500 volte nell’arco di dieci anni”. Poi che la Trump Organization tratta malamente i suoi fornitori e che Trump usò soldi della sua charity per acquistare, per sé, un dipinto usando un falso nome.