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Perché Conte a Strasburgo ha calcato la mano sulla distanza tra popolo ed élite

élite

Le accuse al presidente del Consiglio Giuseppe Conte di essere un burattino in mano a Salvini e Di Maio non sono accettabili. Il capogruppo dei liberali Verhofstadt ha sbagliato, questo è evidente per tutti, quali che siano le opinioni politiche. E l’Italia deve essere capace di difendere il suo rappresentante di governo in ogni sede e a ogni livello. Ciò detto vanno comprese le ragioni che hanno portato a una polemica così aspra.

Non sembra dubbio che, quando si scende all’offesa, si esprime una debolezza e una paura. Ebbene sì, è ragionevole pensare che l’establishment europeo si senta debole e abbia paura. E ha ragione. Forse perché le prossime elezioni lo potrebbero “spazzare via”, come auspicato dai populisti. Ma sicuramente perché il nostro presidente del Consiglio, nell’aula del Parlamento europeo, ha calcato la mano sulla distanza tra popolo ed elite; ha dato una rappresentazione delle relazioni politiche in Europa basata sul conflitto tra bisogni sociali e tecnicismi economici; ha rivendicato le ragioni di un populismo contrapposto alle democrazie rappresentative. Le parole di Conte non sono una novità nel contesto italiano ma risuonano diversamente in Europa, e accendono i riflettori su un progetto politico non privo di criticità. Non c’è da stupirsi che facciano saltare sugli scranni i parlamentari europei.

In effetti, le democrazie europee si fondano su complessi sistemi di compensazione degli interessi e dei valori presenti nelle società, nei quali sono essenziali le strutture rappresentative e burocratiche, non come strumenti a servizio delle elite, ma come mezzi di integrazione e mediazione delle istanze politiche e sociali. Attraverso quelle strutture, le democrazie europee si garantiscono la massima corrispondenza possibile tra indirizzo politico e bisogni della popolazione. E l’Unione europea rappresenta una sintesi dei modelli nazionali, certamente migliorabile in molti suoi aspetti ma nella sostanza riconducibile al modello della democrazia rappresentativa. Nel momento in cui si nega l’efficacia democratica di tale modello e si esalta una contrapposizione tra popoli ed élite, si delegittimano le basi delle democrazie rappresentative europee, a livello nazionale e continentale, inserendo germi patogeni nella struttura istituzionale e politica dell’Europa; si precostituiscono le condizioni per il sorgere di conflitti tra populismi nazionali, dagli esiti imprevedibili; si invitano di fatto i popoli a ribellarsi contro il sistema, in modi non predeterminati, ma che possono giungere anche alla violenza, come avviene nella strade della Francia. E quando si lacera il tessuto sociopolitico delle nazioni e del continente, basato sul sistema democratico rappresentativo, si gioca col fuoco: le democrazie potrebbero non essere abbastanza forti per reggere l’impatto del populismo, a livello nazionale ed europeo,  dando spazio ad esperienze e derive pericolose, come mostra la storia e l’attualità.

Certo, i populisti dichiarano di voler cambiare dall’interno le istituzioni europee e non di volerle distruggere. Ma in realtà le dichiarazioni relative al conflitto tra popoli ed elite riguardano marginalmente il merito delle scelte politiche dell’Europa e si centrano sul modello di relazioni politiche dei Paesi europei. E quindi, allo stato attuale, si coniugano solo in parte con proposte di miglioramento delle politiche europee, utili e benvenute; e si caratterizzano come contestazioni al sistema delle democrazie europee. In sostanza, i populisti, in questa fase della loro vicenda politica, e in particolare in prospettiva delle prossime elezioni del 26 maggio, non si impegnano a sostenere una proposta politica articolata, sulla quale far convergere il consenso dei popoli, e restano trincerati dietro gli slogan antisistema, alimentando una contrapposizione tra popoli ed elites con finalità strumentali ma con esiti imprevedibili.

Il presidente del Consiglio Conte è uomo esperto e avveduto, che non parla a caso. Il che, per certi versi, preoccupa anche di più. È possibile che, attraverso le sue parole, abbia inteso portare acqua al mulino della propaganda populista in Italia, sostanzialmente a fini elettorali, nel tentativo di intercettare i voti antieuropeisti. Forse anche con un obiettivo ulteriore: contrapporsi alla sinistra europeista e, scontato l’appoggio grillino contro l’Europa, dividere il centrodestra, con la Lega e Fratelli d’Italia sul fronte sovranista e Forza Italia su posizioni filoeuropee. Ma è anche possibile che le sue parole esprimano veramente un’idea politica dell’Europa prossima ventura, sostanzialmente antitetica a quella che ha garantito 70 anni di pace e, tra alterne vicende, sviluppo civile ed economico.

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