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Crollo made in Italy. La ricetta della miseria certificata (anche) dalla Commissione Ue

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Non è una disfida delle previsioni. Solo gli allocchi possono crederci. Anche perché sono abbastanza omogenee: la Commissione europea stima la crescita italiana, per il 2019, allo 0.2%, l’Ufficio parlamentare di bilancio allo 0.4. Vero che si tratta del doppio, ma fra misure infinitesimali. Il governo stimava a novembre una crescita dell’1.5 (lasciamo perdere il Savona del 3%!). A dicembre l’aveva già ridotta all’1. A gennaio il presidente del Consiglio confermava la recessione in atto e annunciava la ripresa per la seconda metà dell’anno. Se i primi sei mesi sono persi (a detta del governo) lo 0.2-0.4 sarebbe già un buon risultato. Nel mezzo c’è stata la Banca d’Italia, che aveva previsto uno 0.6 ed era stata accusata di disfattismo. Al netto delle corbellerie sull’anno fantastico e il boom pentastellato, tutte le previsioni vanno nella direzione del crollo verticale delle aspettative, sicché i numeri inseriti nella legge di bilancio si dimostrano per quel che li vedemmo: fantasiosi, per non dire falsi.

La causa è nel rallentamento dell’economia mondiale e della crescita europea? Piacerebbe farlo credere, ma non è così: l’Italia è il solo Paese Ue che non ha ancora recuperato le posizioni del 2008; negli anni della crescita, propiziata anche dalla saggia politica monetaria praticata dalla Banca centrale europea, siamo cresciuti la metà della media europea; ora siamo ben sotto quella già drammatica metà, posto che la crescita stimata, per l’Uem (l’area dell’euro), è a 1.3% (da 1.9). Le cause sono italoitaliane. Tutte interne.

Ci siamo evirati continuando a far crescere la spesa corrente, anche mentre il più poderoso taglio alla spesa pubblica lo dovevamo al crollo degli interessi, grazie alla Bce. Ci siamo condannati volendo illudere i cittadini e praticando dissennate politiche dei bonus (governo Renzi), nel mentre si continuava a tagliare gli investimenti. Il governo del cambiamento è stato il governo della più dissipatrice continuità, cui s’è aggiunto il linguaggio della demagogica arroganza, che ha fatto ricrescere il costo del debito pubblico solo e soltanto per recitare la parte dei bulli. Poi s’è varata una legge di bilancio che aumenta ancora la spesa corrente assistenziale, senza propiziare alcuna crescita e spostando alla fine del 2019 i problemi che non si sono affrontati all’inizio. Tutta qui, la ricetta della miseria. Che è non solo economica, ma anche politica e morale.

Tutta colpa del governo populista? No, come già scritto. Ma di colpe ne ha molte, questo governo, responsabile di scelte che isolano e affondano l’Italia. Scelte pauperiste e antisviluppiste, falsamente protettive e autenticamente ingannatrici che, però, non sarebbero state possibili senza un’acquiescenza vile di grandissima parte della presunta classe dirigente italiana, incapace di reagire e tesa alla ricerca della convenienza immediata (ammesso che esista). Dal giornalismo alle cattedre alla politica, si paga il prezzo del disprezzo dell’interesse collettivo. Lo disse bene Ettore Petrolini, che disturbato da un loggionista fastidioso interruppe la rappresentazione e si rivolse verso l’altro: non ce l’ho con te, perché tu così ci sei nato, ce l’ho con chi ti sta accanto e non ti butta di sotto.

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