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Di Maio al bivio: Conte o Di Battista? (Tutta la vita il premier)

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Quando lunedì 25 febbraio sarà completato lo scrutinio dei voti per la Sardegna avremo conferma di quanto già emerso con il voto di ieri in Abruzzo: il M5S è la terza forza politica nazionale (dopo i due raggruppamenti di centro-destra e centro-sinistra) e raccoglie in occasione delle elezioni regionali circa la metà dei voti ottenuti alle politiche del 2018. Perché accade questo al movimento fondato da Grillo e Casaleggio e oggi guidato da Luigi Di Maio (con l’ingombrante presenza di Alessandro Di Battista)? Innanzitutto per un fatto tecnico, poiché le elezioni amministrative sono le meno adatte ad un soggetto “tutto politico” come il M5S, che peraltro fa più fatica quando cala la percentuale di votanti.

Questa motivazione però non basta e va arricchita con un ragionamento di merito, capace di tenere conto della più importante novità in essere ormai da sette mesi, novità tanto evidente quanto (almeno per alcuni, Di Battista in testa) non ancora metabolizzata: il movimento è oggi forza di governo, di cui porta sulle spalle gran parte del peso, con annessi onori ed oneri.

Si dirà: il M5S deve fare la rivoluzione, non governare come un Psdi qualsiasi. Può darsi, ma intanto tocca fare i conti con la realtà, che mette in campo Ilva, Tap, Tav, tragedie come quella di Genova e dati economici nazionali semplicemente disastrosi, scelte di posizionamento internazionale (tipo Venezuela) e fenomeni epocali da gestire (vedi alla voce immigrazione).

Ecco allora materializzarsi il bivio che Di Maio (capo politico del movimento) ha di fronte a sé, bivio che non potrà essere aggirato, eluso o dimenticato, perché (come si è visto in Abruzzo e si vedrà in Sardegna) la politica non conosce il vuoto e qualcuno prende sempre i voti che tu lasci per strada.

Il bivio è preciso e crudele, perché conduce a due strade che poi vanno da parti opposte, nel modo più assoluto e irrimediabile. C’è l’opzione “Conte”, dal nome del premier, professore e avvocato del popolo e c’è l’opzione Di Battista, dal nome del viaggiatore-sognatore-polemista tanto caro all’ala “barricadera” del movimento.

Ebbene Di Maio può scegliere Conte (e sperare così di cavarsela, pur con molto lavoro e forti tensioni) o può scegliere Di Battista (e finire malissimo ma con grande e romantica incoscienza). Può scegliere Conte, cioè sposare la via in qualche modo riformista (pur nell’accezione grillina) che gli propone l’astuto premier pugliese, capace di dialogare con Merkel, Trump e Mattarella pur mantenendo elevati indici di popolarità, scrupoloso attuatore del contratto di governo ma sempre attento a non sbagliare i toni delle dichiarazioni, mediatore per carattere e per mestiere ma anche capace di una sua autonoma linea di condotta.

Scegliendo la linea Conte il Movimento dovrà misurarsi con le realtà e dovrà accettare l’idea che il reddito di cittadinanza non basta, che occorre mettere mano alle opere pubbliche e che occorre farlo in fretta (Tav compresa), che con la Francia si può litigare ma fino ad un certo punto (e così con il resto del mondo).

Scegliendo la linea Di Battista invece finirà per consegnare il movimento ad una condizione di totale irrilevanza politica, condita da improvvisazione, assoluta mancanza di senso della realtà, velleitarismo. Lo abbiamo visto sul Venezuela, tanto per fare un esempio, dove il “situazionismo” vagamente infantile del Dibba ha portato l’Italia ad una posizione gravemente lesiva dell’interesse nazionale. Ci pensi su, ministro Di Maio. Poi scelga il suo premier che Le conviene. Anche perché, tutto sommato, conviene anche agli italiani.

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