E’ notizia di questi giorni che Domenico Dolce e Stefano Gabbana stiano rivalutando la carta stampata, di fatto adeguandosi ad una contro-tendenza che vede i brand chiedersi se tutto il mondo finisca sui social o sia ancora possibile recuperare spazi al di fuori di questi per comunicare al meglio l’esperienza di marca.
Stefano Gabbana, anima comunicativa del sodalizio stilistico, ha recentemente dichiarato che intende “Utilizzare i media tradizionali in modo ancor più massiccio che in passato: ecco l’idea. […] Spiegare la nostra identità in questo modo è possibile solo attraverso la carta stampata […]. Se avessimo fatto un post, o lanciato una campagna digitale non sarebbe stata la stessa cosa”. Insomma, una sorta di logout dal mondo del web, che invita le persone a riflettere sull’importanza della carta stampata. E’ il momento di tornare ai magazine, e anche ai giornali[…]. Mentre tutti sono sullo smartphone, comprare la carta stampata potrebbe sembrare un lusso. In realtà se ne ricava un punto di vista unico, preparato con cura e tempo. Per me è il momento del grande ritorno delle riviste: potere alla stampa!”, ha concluso lo stilista.
In un periodo in cui i social rappresentano il sancta sanctorum del marketing e la carta stampata sta soffrendo il periodo più acuto della sua crisi, quanto affermato da Gabbana suona oggi un po’ troppo fuori dal coro e davvero potrebbe essere letto come la catarsi di una ferita ancora non rimarginata.
Quella di Gabbana, benchè altamente disruptive, non è un’idea così peregrina e d’altronde chiedersi se a forza di impostare quote sempre crescenti del budget sul marketing digitale si stia tralasciando qualcosa d’importante è lecito – e soprattutto utile – in un periodo in cui l’uso smodato del digitale rischia di far appiattire realtà analogicamente complesse riducendone digitalmente odori, colori, sensazioni ed esperienze in sfilze binarie di 0 e 1.
Sarà quindi il ritorno a ciò che c’era prima dei social la via, o vi sono ancora spazi per innovare al netto del digitale?
Come non ritorneremo ad usare i dischi di vinile in massa sicuramente non torneremo ad utilizzare la carta stampata ai livelli precedenti l’avvento del digitale. Questo suona lapalissiano, almeno sul piano quantitativo, ma su quello qualitativo la maggior lentezza, precisione e capacità di focus offerta dai media vintage può dare certamente qualche risultato inaspettato.
Se dimenticassimo ora un attimo il delitto al ristorante cinese di D&G e leggessimo in altra chiave le parole di Gabbana potremmo dare una lettura diversa delle sue dichiarazioni e scoprire anche la portata inconsueta, in quanto anticipatoria sui tempi, della sua visione.
Alla fine, gli strumenti hanno sempre meno importanza del fine ed oggi l’imperativo è quello di tornare a dare consistenza alla marca. Ciò significa creare un’esperienza avvolgente tutto intorno al cliente e non può essere fatto esclusivamente attraverso un solo media, il web, che non ha sapore, texture né tantomeno vissuto.
La carta stampata con la sua consistenza naturalmente biologica e non elettronica… al pari dei tessuti rappresenta il mondo fisico che si sente con i sensi, Il punto vendita e la comunità che gli gira intorno, le brochure, i cataloghi, gli indumenti indossati dalle persone in carne ed ossa… Questo probabilmente è quanto si propone la D&G, una sorta di ritorno al futuro anziché un semplice rispolvero del passato.
Ma cosa ne pensano i guru del marketing?
“Dobbiamo far scendere i brand dalla giostra dei social media, che va sempre più veloce, ma non arriva mai da nessuna parte.”. Queste sono parole del guru internazionale del marketing Seth Godin estratte dal suo ultimo libro “Questo è il marketing”, edito da Roi Edizioni, diventato già best seller in America.
Va giù duro il guru del marketing: “È giunto il momento di smettere di convincere con insistenza e di disturbare o fare spamming [..] tornare all’autenticità, che passa necessariamente dalle esperienze. A meno che tu non stia vendendo teoremi matematici, stai vendendo emozioni. D’altronde siamo umani, non cyborg. Almeno per ora.”
Di certo scendere dalla giostra dei social, in questo momento, risulterebbe improbabile e sembrerebbe che neanche Seth Godin lo abbia veramente fatto, a giudicare dalla sua massiccia presenza sui social al fine di spingere le vendite del suo libro e degli eventi di cui si fa promotore a livello internazionale.
E’ però, forse, arrivata l’ora di riporre altrettanta cura, di quella che si ripone nelle strategie di marketing digitale, nell’impostazione di una esperienza di marca più ampia ed avvolgente. Esercizio questo che non guasterebbe e probabilmente aiuterebbe ad uscire da una fase di perenne under-construction, imposta dal digitale, dove ogni nuova piccola ed ulteriore innovazione sconvolge gli equilibri aziendali.
“I brand – dice a proposito Godin – devono sforzarsi di mettersi in ascolto, provando a capire ciò di cui la società necessita realmente. Devono proporre una storia credibile, autorevole, onesta, coerente. Una storia che non è per tutti. L’incessante ricerca del pubblico di massa rende noiosi perché implica operare nella media, al centro della curva. E questo richiede di non offendere nessuno e di soddisfare tutti, conducendo a compromessi e generalizzazioni. Oggi occorre concentrarsi nel creare un mercato, anche muovendosi su una piccola scala.”. Le aziende sono avvisate…
Photocredit: profilo D&G/Instagram