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La cecità delle élite davanti agli stravolgimenti della storia. Foa legge Pilati

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“La scelta di rifare il referendum sulla Brexit? Un errore gravissimo perché vuol dire che si è data la parola al popolo ma, dato che il popolo ha risposto in un modo che non piaceva, si ritorna alle urne. Non è serio”. È questa l’opinione di Antonio Pilati, autore del libro, “La catastrofe delle élite. Potere digitale e crisi della politica in Occidente”, presentato a Roma presso il Centro Studi Americani alla presenza di Marcello Foa, presidente della Rai, dell’ex ministro e presidente dell’Aspen Institute Italia Giulio Tremonti e del giornalista Giovanni Minoli.

Pilati, nel suo testo, affronta uno dei temi più caratterizzanti lo scenario politico odierno: il ruolo delle élite politiche in un mondo dominato dalla tecnica e da un’economia globale. “C’è stata una profonda crisi sociale negli ultimi 15 anni, forse il punto di partenza è stato il 2007 quando è cominciata la crisi economica prodotta dalle conseguenze della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica” – dice Pilati a Formiche.net – “Questa crisi non è stata guidata, sono state messe delle toppe finanziarie ma la parte sociale non è stata capita e guidata sul piano politico. Questo ha provocato gravi traumi nella società occidentale e sta provocando una forte redistribuzione di potere tra gli Stati e le potenze. In questo le élite che hanno mancato il loro ruolo di guida hanno una forte responsabilità”.

A patire maggiormente di questa grave crisi sono i popoli delle democrazie occidentali, manchevoli degli anticorpi necessari per fronteggiare una malattia nuova e sconosciuta. “Paesi in cui il comando è verticale hanno più facilità nel leggere la complessità dei fenomeni che democrazie in cui c’è uno scontro molto vasto tra gruppi diversi” – conclude Pilati – “E poi, probabilmente, c’è un indebolimento della politica nell’occidente dovuto alla forza della tecnologia da un lato e delle burocrazie dall’altro che è molto pericoloso”.

“La globalizzazione ha creato una nuova élite che non è più legata a un singolo Paese ma è transnazionale, è dappertutto e da nessuna parte. Ha delle capacità nell’ambito delle nuove tecnologie così enormi e rapide che, dal punto di vista della creazione di ricchezza, non ha precedenti nella storia”. Questo fotografia la scatta Marcello Foa, presidente della Rai che, da giornalista, individuò con un certo anticipo le criticità che stanno interessando le élite, e dunque i popoli, occidentali.

Jeff Bazos, l’Ad di Amazon, ha una ricchezza che ha rapidamente superato quella di Warren Buffet, che per anni è stato il miglior investitore americano” – dice Marcello Foa a Formiche.net – “Questo comporta che vengono a crearsi interessi condivisi e un’accelerazione dei fenomeni di destrutturazione delle nostre società con delle implicazioni che le stesse élite tendono ad ignorare e che invece hanno un impatto fortissimo sulla composizione delle nostre società”.

Il ruolo degli Stati è il dilemma più cruciale in quest’epoca in cui i confini economici non esistono. “È evidente che i popoli, che partecipano solo marginalmente a questi fenomeni, vedono nello Stato il punto fondante della propria identità, della democrazia e ne rivendica ancora l’utilità” – continua Foa ai nostri microfoni – “Questo sta generando delle tensioni tra i centri di potere che sono sovranazionali e gli Stati nazionali e, soprattutto, la percezione del ruolo degli Stati nazionali nei cittadini”. Le élite occidentali hanno la responsabilità di aver osservato con troppa leggerezza lo svilupparsi di questo fenomeno. “Le nostre élite hanno guardato tutto questo da una prospettiva privilegiata. Oggi ci accorgiamo che questa prospettiva non è condivisa da milioni di persone” – aggiunge il presidente della Rai – “Questi fenomeni non hanno una caratterizzazione politica, come i gilet gialli che non sono né di destra né di sinistra ma sono sintomo di un malessere profondo presente nella società francese, ignorati per troppo tempo. A questo si aggiunge che le oggi le dinamiche sono molto rapide e che gli esiti non sono prevedibili se non per il fatto che la storia insegna che le società virtuose sono quelle in cui gli equilibri e la ricchezza sono il più possibile condivisi. Il capitalismo, fino alla fine del ‘900, tra mille contraddizioni e incompiutezze ha fatto sì che ci fosse un ascensore sociale, oggi quell’ascensore sociale è bloccato e qui c’è il nocciolo del problema”.

La storia insegna che c’è una sorta di ciclo che tutte le élite compiono, se è crollato l’Impero Romano ogni cosa può avere la stessa identica sorte se non si adottano i correttivi adeguati. “Se le élite diventano troppo autoreferenziali e finiscono fuori dal mondo si illudono di poter fermare il corso della storia. Quando hai ricchezze immense e domini mezzo mondo arrivi a pensare di essere inattaccabile” – dice Foa – “Invece la storia del mondo dimostra che proprio questa cecità delle élite comporta una disgregazione delle forze che hanno reso possibili questi imperi e inevitabilmente arriva il crollo. Pensi che l’impero ottomano è crollato da un giorno all’altro senza che nessuno l’avesse previsto perché era pieno di debiti. Quei debiti non erano un problema politico poi da un momento all’altro lo diventano”.

Come traduce in forma in racconto televisivo la precarietà del mondo che abbiamo sempre conosciuto? “Il servizio pubblico ha la funzione di permettere ai cittadini di capire il mondo in cui si vive, e deve avere la capacità di affrontare anche temi delicati con il coraggio necessario e con pluralismo autentico” – conclude il presidente Foa – “. Questa è la funzione di un servizio pubblico. Tutto finisce in questo racconto: l’approfondimento, le fiction, le docufiction. Fondamentalmente quando un servizio pubblico viene percepito come credibile, affidabile e attento agli interessi della collettività nel senso più nobile del termine acquisisce la fiducia dei cittadini. Io spero che questo percorso, iniziato con il nuovo Consiglio di Amministrazione, possa portare a un recupero di credibilità e di fiducia dei cittadini nei confronti della Rai. In un’epoca di crisi dell’editoria è importante che il servizio pubblico, che ha a disposizione risorse finanziarie più stabili dell’editoria privata, possa adempiere a pieno a questo suo ruolo. È davvero un perno fondamentale della democrazia”.

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