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Difesa europea e Nato, perché il binomio può funzionare. Parla Castaldo (M5S)

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Fabio Massimo Castaldo è una punta di lancia del gruppo pentastellato all’Europarlamento. Come molti dei suoi compagni ha un passato da attivista e frequentatore dei meet-up. Entrato nell’emiciclo cinque anni fa, si è adattato più in fretta di altri alle regole del gioco delle istituzioni Ue. Oggi è vicepresidente del Parlamento, coordinatore del gruppo Efdd alla Commissione Esteri e membro della Commissione Affari Costituzionali. A sentirlo parlare, nel suo ufficio a Strasburgo, dà l’impressione di stare nel suo habitat naturale.

Fra i suoi interessi spicca quello per la Difesa. Per questo ha apprezzato un passaggio dell’intervento di Giuseppe Conte di fronte ai colleghi deputati: quando ha spiegato che Difesa europea e Nato possono e anzi devono convivere. Una convinzione che la ministra della Difesa Elisabetta Trenta ha fatto sua all’ultima ministeriale Nato. “La Difesa Europea integra la Nato, non la indebolisce – spiega Castaldo a Formiche.net – purché Francia e Germania non dettino da sole la linea”.

Le è piaciuto Conte a Strasburgo?

Ha dimostrato con grande fermezza e dignità di conoscere le responsabilità di chi governa un Paese. Una lezione di stile per chi ha offerto uno spettacolo ben poco degno, insultando il premier di uno Stato membro.

Il presidente non ha ancora sciolto le riserve sul Venezuela…

L’Italia è un Paese che per vocazione sa assumere le vesti di mediatore e vuole evitare possibili escalation. Conte ha ribadito la necessità di elezioni credibili sotto l’egida dell’Onu e l’osservazione dell’Ue, specificando che il governo italiano non riconosce le ultime elezioni presidenziali. Noi però diffidiamo di chi si autoproclama presidente senza alcuna base giuridica. È un precedente pericoloso che può spaccare la comunità internazionale e perfino spianare il terreno a una guerra per procura.

Conte ha parlato di Difesa Europea e Nato. Sono due realtà che possono coesistere?

Il Movimento 5 Stelle e il governo italiano hanno dato prova di quanto tengano al legame transatlantico e ai rapporti con Washington. La Difesa europea integra la Nato, non la indebolisce. Qui al Parlamento europeo stiamo lavorando a diversi progetti, io sono relatore ombra del Fondo europeo di difesa (Edf), per l’Edadp e per la Military mobility. Tre programmi che funzionano solo se mantengono un’identità europea. Se Francia e Germania dettano da sole la linea ci ritroviamo a pagare un conto a 28 e questo non è giusto.

Con Parigi è aperta crisi diplomatica. Difficile trovare compromessi con un Paese che ha richiamato il suo ambasciatore…

La Francia è un Paese amico e alleato. Gli storici legami fra Roma e Parigi non saranno mai messi in discussione. Devo però constatare il doppiopesismo di certi Stati europei, che non si sono stracciati le vesti quando Macron ha parlato di “lebbra populista”, quando la Francia è venuta meno alla cooperazione con l’Italia in Libia o nella vicenda Fincantieri-Stx. Nessuno desidera una crisi diplomatica, ma è giusto chiedere parità di trattamento.

Torniamo alla Difesa europea. La vostra linea sembra più low cost di quella sostenuta da Francia e Germania. È così?

Spendere di meno per spendere meglio. Siamo a favore di una maggiore interoperabilità degli eserciti nazionali, dell’implementazione dei battle groups, i gruppi di intervento rapido. Così rispondiamo nel modo giusto alle critiche degli americani, che chiedono all’Europa di fare il suo dovere nel campo della sicurezza. Rifuggiamo invece l’idea di un esercito europeo sventolata a fini propagandistici da Angela Merkel. Non ci sono le condizioni: senza un’unione politica è inutile parlare di unione militare, perché mancherebbe qualsiasi controllo democratico.

Gli americani però continuano a ricordare all’Italia che non rispetta gli impegni presi con la Nato.

Credo che il ministro della Difesa Elisabetta Trenta abbia colto nel segno alla ministeriale Nato. Come calcoliamo il vincolo del 2%? Sono esclusi i fondi spesi per il welfare dei nostri militari. Ma soprattutto non sono conteggiati quelli per le infrastrutture e la cybersecurity. Oggi parlare di un carrarmato, un cacciabombardiere o una nave che non abbia sistemi di difesa cibernetica significa essere fuori dalla realtà. Fa danni ben più gravi al sistema produttivo di un Paese un attacco cibernetico rispetto a un bombardamento.

Quindi è giusto chiedere un ricalcolo?

Assolutamente. La domanda da porsi piuttosto è: siamo capaci a provvedere alla sicurezza nazionale e allo spazio mediterraneo allargato? A mio parere non dovremmo impiccarci ai numeri. Se venissero tenute in conto anche queste voci di spesa si vedrebbe come l’Italia rispetti gli impegni assunti a livello internazionale.

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