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Cosa accadrà ora al cardinale George Pell?

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Il cardinale George Pell, condannato lo scorso 11 dicembre da una giuria popolare dello stato di Victoria per aver abusato di due chierichetti tredicenni, è stato trasferito in carcere. Lo ha deciso il tribunale, revocando la libertà su cauzione che gli era stata concessa per permettergli di operarsi a un ginocchio. Il verdetto, secretato fino a ieri, è stato deciso all’unanimità anche se una precedente giuria – sempre sulle stesse ipotesi di reato – non era riuscita a giungere a una decisione, tanto da essere sciolta. Il prossimo 13 marzo sarà comunicata la pena per il porporato, che rischia cinquant’anni di carcere (la pena massima è di dieci anni per ogni reato e Pell è stato riconosciuto colpevole di cinque reati). Scontato l’appello, già annunciato dai legali del cardinale, che puntano a smontare l’impianto accusatorio che – non sono pochi a pensarlo, anche in Australia – poggia su basi assai fragili, più che altro perché uno dei due accusatori è morto nel 2014 per overdose di eroina.

Prudentissima è stata la reazione della Santa Sede, che ha “preso atto” della decisione della magistratura australiana, ribadendo però che il cardinale Pell si è sempre professato “innocente” e che sarà necessario attendere l’esito del processo d’appello. “In attesa del giudizio definitivo, ci uniamo ai vescovi australiani nel pregare per tutte le vittime di abuso, ribadendo il nostro impegno a fare tutto il possibile affinché la chiesa sia una casa sicura per tutti, specialmente per i bambini e per i più vulnerabili”, ha detto lunedì mattina Alessandro Gisotti, direttore a interim della Sala stampa vaticana. “Il Santo Padre – proseguiva Gisotti – ha confermato le misure cautelari già disposte nei confronti del cardinale George Pell” e cioè “la proibizione in via cautelativa dell’esercizio del pubblico ministero e, come di norma, il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età”.

Restava un dubbio: Pell era prefetto della segreteria per l’Economia, l’organismo creato ex novo da Papa Francesco per ristrutturare il settore finanziario della Santa Sede dopo le falle denunciate nelle congregazioni che avevano preceduto il Conclave del 2013. Dal 2017 era stato messo in congedo per permettergli di difendersi nel processo in Australia. Pell, che ha sempre ribadito la propria innocenza, aveva infatti rinunciato all’immunità diplomatica, accettando anche di farsi interrogare in videoconferenza dalla Royal Commission che nel 2016 voleva fare luce su episodi di abuso su minori accaduti negli anni settanta e ottanta. Fino alla serata di ieri nessuna notizia in merito era stata data dal Vaticano sul ruolo di Pell, prima che dopo le 21 sempre il direttore Alessandro Gisotti twittasse che il cardinale australiano “non è più prefetto della Segreteria per l’Economia”. Non una destituzione: Pell ha 77 anni (due più dell’età canonica per la pensione) e da cinque giorni era scaduto il mandato quinquennale. Normale avvicendamento, dunque.

Cosa potrà capitare ora al cardinale australiano? Detto dei tempi della giustizia civile, c’è già chi auspica una sorte uguale a quella toccata a Thedore McCarrick, l’ex arcivescovo di Washington, che prima è stato escluso dal Collegio cardinalizio e successivamente è stato ridotto allo stato laicale. Le cose sono un po’ diverse, se non altro perché un processo canonico non è stato avviato e il processo civile ha completato solo il suo primo grado. Nel frattempo, piovono accuse anche sul presidente della Conferenza episcopale australiana, il brillante Mark Coleridge – protagonista del summit sulla protezione dei minori nella chiesa che si è tenuto a Roma la scorsa settimana: secondo una donna, avrebbe volutamente insabbiato le denunce presentate contro i comportamenti molesti di alcuni preti della sua vecchia diocesi, Canberra. Lui si difende: “Non è vero nulla”.

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