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Oscar 2019. Una Hollywood di sinistra che scende in campo contro muri e razzismi

È già passata alle cronache come “l’Oscar della diversità” questa edizione 2019 del famoso premio cinematografico durante il quale Hollywood celebra se stessa e il suo star-system. Facile leggere come messaggio anti-trumpiano la serie di premi dati ad afro-americani, incluso Spike Lee, che vince il suo primo Oscar “regolare” dopo quello alla carriera del 2015 e la messe di statuette di Roma del messicano Cuarón. Persino l’Oscar a Rami Malek, figlio di emigranti egiziani, che impersona Freddie Mercury nel biopic Bohemian Rhapsody ci ricorda le radici multietniche dell’american dream.

Dunque una “Hollywood di sinistra” che scende in campo contro muri e razzismi, almeno nella facile lettura un po’ curvaiola che di solito se ne dà in Italia. In realtà bisogna sottolineare che il significato degli Oscar è sempre politico, almeno nel senso del nazional-popolare gramsciano.

Come sottolineava sdegnosamente Luis Buñuel: “L’Oscar è un premio perfettamente democratico, dove votano anche le parrucchiere”, in questo senso, al contrario dei premi cinematografici ordinari che sono frutto dell’equilibrio di una giuria, esprime lo spirito di corpo di una grande industria, quella dello spettacolo.
Un’industria che sarebbe difficile definire esclusivamente “americana”, visto che ha raggiunto la globalizzazione con decenni di anticipo sul resto dell’economia. Quando ancora era necessario avere un passaporto per andare dalla Francia all’Italia, i film hollywoodiani circolavano già in tutto il mondo, reinventando continuamente quell’american dream che avrebbe di fatto costituito l’egemonia culturale della nascente super-potenza Usa.

Hollywood include gli Usa, ma è sempre stata un’industria culturalmente aperta sul mondo, dove il britannico Hitchcock era di casa quanto il tedesco Billy Wilder o l’italo-americano Frank Capra. Ecco perché, nonostante tutti i limiti del conservatorismo, Hollywood rimane un termometro avanzato della possibilità di produrre cultura per un mercato globale unificato e per lo stesso motivo, liberal o meno, deve puntare su una società futura che trova l’equilibrio nella diversità e non nel muro contro muro. I politici farebbero meglio a prendere appunti.

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