Londra non trascura nei fatti i fondamentali del suo solido rapporto transatlantico, ma si tiene aperte delle ‘alternative’, anche in vista della Brexit. È questa la lettura che Stefano Mele – avvocato esperto in diritto delle tecnologie e presidente della Commissione sicurezza cibernetica del Comitato Atlantico Italiano – dà della linea “solo apparentemente soft” che il Regno Unito sta avendo in merito alla disputa globale tra Stati Uniti e Huawei, analizzata in una intervista con Formiche.net.
Mele, in Uk, hanno riferito al quotidiano Financial Times due fonti anonime vicine al Uk National Cyber Security Centre, l’intelligence riterrebbe che Londra disponga di strumenti sufficienti a mitigare il rischio posto nell’implementazione del 5G dalla prossimità tra Huawei e il governo cinese. Washington invece chiede di non sottovalutare i rischi che comporta l’utilizzo di hardware del colosso cinese. Che cosa significa questa mossa del Regno Unito?
È senza dubbio interessante osservare, in primo luogo, come questo tipo di valutazione giunga proprio dal principale alleato americano in Europa. Per comprenderla pienamente, però, bisogna anzitutto evidenziare che la storia dei rapporti tra Londra e Huawei è iniziata circa 14 anni fa con l’utilizzo della tecnologia del colosso cinese da parte di British Telecom, la prima azienda del Vecchio continente ad affidarsi ad apparecchiature della società di Shenzhen. Pertanto, i rapporti commerciali tra Regno Unito e Huawei hanno radici abbastanza risalenti nel tempo. Anche solo questo potrebbe già spiegare l’atteggiamento odierno del governo di Londra. Ciò, però, non vuol dire che il Regno Unito non tenga e non terrà conto dell’alert degli Usa, anzi.
Come si concilia la posizione di Londra con quella di Washington?
Per limitare i potenziali rischi, nel 2010, il governo britannico ha chiesto a Huawei di istituire all’interno del Regno Unito un centro di verifica dei propri prodotti, il Huawei Cyber Security Evaluation Centre, all’interno del quale operano a stretto contatto i dipendenti dell’azienda e il personale dell’intelligence britannica. I servizi britannici, peraltro, mantengono la presidenza del comitato di sorveglianza di questo centro di verifica attraverso un alto dirigente del Gchq, ovvero l’agenzia governativa nazionale che si occupa della sicurezza, nonché dello spionaggio e controspionaggio, nell’ambito delle comunicazioni. Il funzionamento del meccanismo messo in piedi da Londra è molto semplice: ogni anno il governo inglese, attraverso il Huawei Cyber Security Evaluation Centre, svolge degli audit su quelle che crede essere le tecnologie di Huawei di maggiore interesse per la propria sicurezza nazionale. Entro lo stesso anno, il colosso cinese prende l’impegno di sanare eventuali lacune o vulnerabilità segnalate e di indicare le modalità di intervento attraverso un report dedicato. Nell’ultimo report annuale di Huawei, ad esempio, emergono alcune criticità – specialmente tecniche – sulla tecnologia 5G. Ma non è il solo aspetto da considerare per valutare la posizione Uk nei confronti di Pechino.
Quali sono gli altri elementi da considerare?
Un ulteriore tema da tenere in considerazione è la recentissima decisione del Regno Unito di inviare la portaerei britannica Queen Elizabeth nel Mar cinese meridionale per cercare di arginare le mire espansionistiche cinesi. Attività, peraltro, svolta insieme agli alleati americani. Quindi, i rapporti commerciali ormai consolidati da anni, la maggiore sicurezza garantita dal Huawei Cyber Security Evaluation Centre, oltre che le recenti tensioni diplomatiche proprio tra Regno Unito e Cina in ambito geopolitico, potrebbero contribuire a giustificare questo approccio apparentemente più soft nei confronti di Huawei. In parole povere, Londra non trascura nei fatti i fondamentali del suo solido rapporto transatlantico, ma si tiene aperte delle ‘alternative’, anche in vista della Brexit.
Questa mossa può aprire problemi tra Stati Uniti e Regno Unito?
No. Il tema è rilevante politicamente e commercialmente per gli Stati Uniti, ma non aprirà una crisi nei rapporti tra i due Paesi. È assolutamente normale che, anche nell’ottica di una strettissima alleanza come quella angloamericana, entrambe le nazioni badino anzitutto al proprio interesse nazionale, specialmente sul piano della sicurezza. Come detto, però, in linea di massima le politiche di Londra – pur diverse nel metodo – sembrano non distanziarsi molto dalla linea di Washington.
La linea Uk, ovvero quella di non bandire le compagnie cinesi ma puntare sulla certificazione, sarà adottata anche nel resto d’Europa?
La linea adottata da Londra potrebbe essere certamente seguita da altri partner europei. Ognuno, però, in questo caso sembra giocare una partita solitaria. La Germania, ad esempio, sarà probabilmente più propensa a discostarsi da Huawei e a seguire la linea americana, come testimoniano anche le indagini che sta conducendo il Bsi, l’Ufficio federale tedesco per la sicurezza dell’informazione. La Francia ha già chiarito che ogni apparecchiatura sarà sottoposta a vincoli e controlli ben precisi.
E l’Italia?
Anche in Italia, un Paese che ad oggi sembra avere un approccio più favorevole nei confronti dell’azienda cinese, stando così le cose, potrebbe prevalere una logica di certificazione della sicurezza delle tecnologie delle aziende cinesi. Approccio, peraltro, in linea con l’istituzione di un organismo come il Centro di Valutazione e Certificazione Nazionale (Cvcn) presso il Mise, che avrà proprio lo scopo di dotare la nazione di una capacità di verifica sull’affidabilità delle componenti Ict destinate ad essere impiegate nei sistemi di soggetti titolari di funzioni critiche o strategiche.