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Il governo di Morawiecki e l’altra Polonia

Mateusz Morawiecki

Daniel Passent, commentatore del settimanale polacco Polytika, sostiene che la decisione di Morawiecki, primo ministro polacco, sia una mossa per la campagna elettorale, che definisce “patetica”, più che per le parole di Netanyahu: “Poco importa cosa abbia detto Netanyahu o l’Ufficio del Primo Ministro o l’Ambasciatore (…), quel che importa è cos’è accaduto e come è accaduto”. Il dibattito sul dominio della narrativa storica e del sentimento patriottico è di nuovo al centro del dibattito politico polacco. “Il Primo Ministro ha dei complessi, e si sente offeso a nome di noi [polacchi] tutti. Invece bisognerebbe conoscere la storia della Polonia, e mostrare a Netanyahu come la ricerca storica si stia sviluppando e quali siano i lavori di storici seri”.

La Polonia ha numerosi istituti di ricerca dedicati allo studio dell’ebraismo e della Shoah, che producono innumerevoli studi sugli ebrei di Polonia e sulle relazioni tra ebrei e cristiani in Polonia. Le università di Varsavia, Cracovia e Wrocław (Breslavia) ospitano prestigiosi istituti di ricerca sull’ebraismo, mentre il Polish Center for Holocaust Research diretto da Barbara Engelkin si dedica allo studio della Shoah, producendo ricerche invise alla narrativa nazionale dettata dal governo attuale.

La polemica sulle responsabilità dei polacchi nella Shoah è divenuta argomento internazionale nel 2016, quando la ministra dell’Educazione Anna Zalewska, in un’intervista al canale TVN24 ha evitato di rispondere alle domande della giornalista sulle responsabilità degli stermini di ebrei a Jedwabne (1941) e Kielce (1946). “Situazione complessa”, “diverse interpretazioni”, “altri lati della storia”, “lasciamo che siano gli storici a decidere” sono tra le frasi che aveva usato per evitare di dare una risposta alle incalzati domande dell’intervistatrice. L’anno successivo, Mateusz Morawiecki è diventato primo ministro e uno dei punti centrali della sua agenda politica è la strutturazione di una storiografia nazionalista. Il punto è che sono stati polacchi a compiere i massacri, ma per non dover considerare la questione dell’antisemitismo polacco, la narrativa che il governo vuole cristallizzare è che i partigiani polacchi hanno aiutato gli ebrei, e che polacchi ed ebrei erano vittime eguali dei nazisti. Interessante già notare come polacchi ed ebrei siano termini usati in maniera mutuamente esclusiva, quando gli ebrei sterminati invece erano polacchi. Il ministro della Cultura Gliński, in un’intervista rilasciata al settimanale Wpros (novembre 2018) ha detto che il PiS (Legge e Giustizia, il partito al governo) è vittima di una propaganda di de-umanizzazione come quella di Goebbels verso gli ebrei.

Ecco quello che i polacchi devono sapere, secondo Jan Hartman, altro commentatore di Polytika: “1. i polacchi hanno ucciso molti più ebrei di quanti ne abbiano salvati, e l’eroismo di chi ha salvato gli ebrei è un fenomeno estremamente più raro della persecuzione; 2. i massacri di ebrei erano individuali o organizzati, compresi ebrei in fuga dai ghetti liquidati da parte di gruppi armati locali; 3. i progrom contro gli ebrei sono accaduti in decine di città, e sono stati compiuti anche da partigiani verso la fine della Guerra e da civili dopo la guerra (non solo a Kielce); 4. la maggioranza di chi ha nascosto gli ebrei lo ha fatto per soldi, e quando finivano i soldi, spesso gli ebrei erano cacciati o uccisi; 5. chi nascondeva gli ebrei aveva paura dei vicini, perché l’atteggiamento della società polacca verso gli ebrei e chi li aiutava era ostile, tanto che spesso erano i vicini a denunciare o uccidere direttamente chi nascondeva gli ebrei – e fino a poco tempo fa chi ha nascosto ebrei durante la Guerra non ne ha parlato; 6. derubare e uccidere gli ebrei che si nascondevano, o fuggiti dai ghetti o dai campi era fenomeno molto diffuso (…); 7. le proprietà degli ebrei sono state prese dai polacchi che hanno accolto i sopravvissuti con ostilità; 8. nonostante il fatto che molti preti, suore e monaci abbiano aiutato a nascondere gli ebrei, l’atteggiamento generale della Chiesa era di inimicizia, che si manifestava in ostilità o indifferenza verso gli ebrei; 9. il regime comunista non ha voluto ricordare la Shoah, tanto che per decenni dopo la guerra le generazioni polacche hanno creduto che la maggior parte dei morti mei campi nazisti fossero polacchi.”

Questi sono i punti che i giovani (e meno giovani) ricercatori esplorano e su cui i giornali e le radio polacche dibattono, e che il governo teme perché macchiano l’onore della nazione. Eppure, dice Hartman, la Germania e le altre nazioni europee, che in una qualche misura hanno collaborato coi nazisti, hanno fatto i conti col passato e guadagnato credibilità e rispetto, ma perché allora, si chiede l’autore, la Polonia (e altri stati del Centro ed Est Europa) non possono fare lo stesso? Non è solo un deficit di conoscenza delle generazioni cresciute sotto il comunismo, ma una politica di dominio della narrativa storica che sia funzionale a un patriottismo spiccio e sovranista. La polemica sulle parole di Netanyahu o del ministro ad interim Katz non ha molto senso se non inserita nel contesto della dolosa o colposa ignoranza dei fatti sulle relazioni tra polacchi ed ebrei, o, per meglio dire, tra polacchi non-ebrei e polacchi ebrei in particolare tra le due Guerre. D’altra parte però la Polonia non è solo l’attuale governo, e un maggiore sostegno a chi la pensa diversamente sarebbe doveroso.

Il resto dell’Europa o del mondo è immune da un simile pericolo? Una maggioranza al governo di un Paese o di un’organizzazione può stabilire ciò che è la storia, con una buona campagna digitale e le giuste scelte lessicali che fanno appello alle sensibilità di un mondo che vive di post-verità? Domande che i numerosi programmi di lotta all’antisemitismo e di memoria della Shoah di Stati, Unione Europea e Osce dovranno porsi per essere degli efficaci strumenti di di diffusione e applicazione della ricerca accademica.

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