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Come si evolve lo spazio strategico iraniano in Iraq

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Attualmente, è proprio l’abbandono, da parte delle 2000 truppe Usa, delle loro attuali postazioni siriane e giordane, operazione che prosegue con notevole rapidità, ciò che sta creando uno spazio strategico notevole per l’Iran. Il presidente Trump, peraltro, afferma di voler far rimanere una quota imprecisata di soldati statunitensi in Iraq, proprio per controllare le evoluzioni iraniane verso il confine siriano con l’Iraq. È quindi del tutto probabile che, in un non lontano futuro, le tensioni, già molto evidenti, tra Hezb’ollah e Israele sul confine Bekaa-Golan potrebbero esplodere e, in questo caso, lo scontro non potrebbe non riguardare anche le forze iraniane, poi quelle di Bashar el Assad e, perfino, altri gruppi sunniti e libanesi che stazionano in quell’area.

L’obiettivo primario del “partito di Dio” sciita libanese e anche dello stesso Assad, che non può più dire di no a Teheran, è quello di fornire, in questa fase, missili efficaci alle forze libanesi e iraniano-siriane per colpire le postazioni nel nord di Israele. E poi, magari, passare dalla tenuta dell’asse Bekaa-Golan direttamente verso l’interno dello stato ebraico. L’Iran, però, tutto vuole, in questa fase, piuttosto che un confronto, di tipo convenzionale, con Gerusalemme e gli alleati Usa di Israele. Teheran, anche nelle aree che attualmente detiene in Siria, è interessata, oggi, solo alla sua tradizionale guerra asimmetrica, quella che permette all’Iran uno scontro a basso osto e con il minimo impegno delle sue forze. Questo, però, non ci permette di poter pensare ad una guerra iraniana contro Israele che sia unicamente a bassa intensità: ricordiamo, infatti, le operazioni degli UAV di Teheran nello spazio aereo israeliano dello scorso febbraio 2018, o i molti lanci missilistici di prova del giugno di quell’anno. Ma anche lo stato ebraico non vuole affatto passare ad uno scontro aperto: infatti, dal 2013 ad oggi Gerusalemme ha compiuto oltre 230 operazioni in Siria, soprattutto contro i passaggi di armi destinate a Hezb’ollah, oltre a compiere numerose operazioni, nella “guerra tra le guerre”, contro le basi iraniane in Siria, e ciò almeno dal 2017.

Hezb’ollah, peraltro, nelle dichiarazioni di questo febbraio 2019 di Hassan Nasrallah afferma che, se ci sarà uno scontro tra il “partito di Dio” sciita e Israele, esso non sarà necessariamente limitato al sistema siriano-libanese o libanese-israeliano, ma coinvolgerà immediatamente tutte le forze “volontarie” del mondo arabo. Tutte le organizzazioni che fanno, a vario titolo, parte del sistema iraniano tra Libano e area sunnita a sud di Israele, saranno certamente organizzate dalle “Guardie della Rivoluzione” di Teheran per operare, in modo integrato, contro lo stato ebraico. La linea del “corridoio” tra l’Iraq, l’Iran, la Siria e il Libano, obiettivo di Teheran nella guerra siriana, è l’asse su cui si svolgeranno tutte le future operazioni contro lo stato ebraico, ed è un fronte ampio e difficilissimo da tenere per entrambe le parti, Israele e Iran. Quindi, gli scenari futuri potrebbero essere, in linea di massima, questi: a) una guerra convenzionale in Libano del Nord, con la partecipazione di Hezb’ollah, degli iraniani, della rete di Hamas già presente sul Litani, di alcuni gruppi siriani. Oppure, b) uno scontro sulla linea del confine Bekaa-Golan che muove inizialmente sul territorio siriano, lasciando il Libano meridionale libero per un eventuale attacco secondario a Israele, in una fase successiva delle operazioni. I partecipanti a questa guerra contro Gerusalemme sarebbero, evidentemente, le forze di Bashar el Assad, i Pasdaran iraniani, Hezb’ollah, i gruppi sciiti sul confine siriano, poi Hamas, senza dimenticare il Jihad islamico sunnita del sud e, con ogni probabilità, anche i gruppi filosiriani presenti sulle linee di confine della Autorità Nazionale Palestinese con lo stato ebraico. Infine, potrebbe esserci c) una “doppia guerra”, in Libano e in Siria contemporaneamente, con sostegno ulteriore e successivo di attacchi di Hamas e Jihad Islamico a Israele, da Sud. Non bisogna dimenticare nemmeno che la guerriglia Houthy, in Yemen, è già capace di bloccare gli interessi marittimi israeliani nello stretto di Bab-el-Mandeb e in tutto il Mar Rosso; senza pensare poi anche agli attacchi, sempre possibili, delle postazioni missilistiche iraniane in Iraq verso lo stato ebraico, con un probabile portato di ulteriori attacchi sul rimanente personale Usa tra Siria, Iraq e Giordania.

Ma possiamo, in questo caso, dire solo due cose: che la guerra futura di Israele in Libano sarebbe certamente meno limitata delle operazioni già poste in atto dal 1978 al 1982 fino al 2000 (la stabilizzazione di Hezb’ollah) e delle azioni del 2006. E possiamo aggiungere che le forze iraniane, sunnite, siriane passeranno, oggi, il più rapidamente possibile da un attacco contro le infrastrutture critiche israeliane ad una vera e propria occupazione controforze del terreno. Ma i centri di gravità di Hezb’ollah e degli iraniani, oltre che delle forze sunnite in Libano, saranno rapidamente identificabili da Israele, in un prossimo attacco? Non è invece sempre più probabile, in futuro, una zona vasta di azione, dal Nord, che implicherà fin dall’inizio le postazioni Hezb’ollah, siriane, iraniane su tutto il confine siriano con Israele? E, poi, cosa farà la Federazione Russa? Vorrà essere egemone in tutto il Medio Oriente e, quindi, avrà un qualche accordo con Israele, oppure sceglierà la vecchia postura strategica di fare da difensore del mondo arabo contro lo stato ebraico? E dove andrebbe, Mosca, con una prospettiva geopolitica così vecchia e debole? Comunque vada, sarà proprio la Federazione Russa la chiave di volta di ogni tipo di operazione tra Israele, il Libano e l’asse sirio-iraniano.

Le possibilità, per Mosca, sono quindi solo due: o si mette da parte, nel prossimo conflitto sirio-libanese-israeliano, e quindi rischia di perdere tutto il suo potere anche in Siria; oppure sceglie di prendere parte agli scontri, magari indirettamente, per favorire gli uni o gli altri, ma solo al momento opportuno. Nulla però farà mai la Russia, in futuro, per riaccendere le micce siriane. Ogni operazione bellica, in tutto il quadrante siriano, rischia in primo luogo di compromettere i nuovi asset strategici di Mosca. Gli americani comunque potrebbero, in tempi stretti, sostenere le difese missilistiche di Gerusalemme, poi Mosca sostenere solo per onore di firma iraniani e siriani, bloccando loro l’uso delle armi evolute russe sul territorio di Assad, poi ancora gli Usa potrebbero sostenere Israele ma, anche, uno sforzo diplomatico internazionale che trasformerebbe lo scontro in una guerra breve e convenzionale, senza l’”accesso agli estremi” da parte di Israele, nello stile consueto in auge del 1973. Israele, a questo punto potrebbe scegliere di depotenziare sistematicamente le forze nemiche, oppure di separare gli avversari tra di loro, secondo la tecnica degli Orazi e Curiazi o “dell’amico lontano” oppure ancora, come ha già dimostrato di poter fare, di poter destabilizzare la Siria e, magari, anche l’Iraq ai confini di Baghdad con il regime di Bashar el Assad. Quanto, in questa scelta operativa e strategica, Gerusalemme possa ancora fidarsi di Washington è largamente aleatorio, quando non improbabile. Se sarà possibile, Israele potrà organizzare in futuro solo una pace fredda con Mosca, aumentando però la possibilità di pressione, anche militare, sulla Federazione Russa. Prima regola, come sempre, per lo stato ebraico, sarà quella di evitare il frazionamento delle sue forze e, quindi, sarà sempre primaria la necessità di individuare subito il centro di gravità del nemico, anche se complesso e frutto di alleanze tra diversi fini strategici.

Cosa può fare, quindi, il solo Hezb’ollah, in questa fase? Il “partito di Dio” potrebbe evitare di portare lo scontro con Gerusalemme nel Libano meridionale, per evitare di trasformare i suoi asset primari in obiettivi, relativamente facili, per Israele. Un movimento come il “partito di Dio” sciita, ma senza retroterra libanese o area di copertura tra il Litani e Beirut è sconfitto in partenza. E quanto parteciperebbero alle operazioni contro Israele i siriani? Probabilmente, tanto quanto da poter decidere gli effetti politici della guerra ai loro confini con il Libano, ma mai così tanto da consumare le forze in vista di una destabilizzazione sul Golan. E come e quanto gli iraniani armerebbero, poi, gli Houthy per bloccare i rifornimenti di Israele nel Mar Rosso? E se l’obiettivo primario degli Houthy, per l’Iran, fosse proprio quello di tenere l’Arabia Saudita lontana dalla nuova guerra in Libano? E se, poi, a Teheran convenisse utilizzarli ancora per la sola pressione sull’Arabia Saudita, soprattutto in attesa di una rivolta sciita dal Bahrein, per poi arrivare nelle province del Regno a maggioranza shi’a Baharna, il Qetif e la Al Ahsa, con la potente e occulta comunità duodecimana dei Nakhawila, da sempre abitanti a Medina? Non si può fare tutto contemporaneamente. Oppure, iraniani e Hezb’ollah potrebbero optare, ai confini di Israele, per una “guerra lunga” a bassa-media intensità. Ma Hezb’ollah, per quello che si può oggi osservare, non ha ancora le idee chiare. È sempre di più il figlio, questo movimento sciita, delle innumerevoli tensioni che operano dentro il complesso e ormai frazionato regime iraniano. Il “partito di Dio” della Shi’a libanese possiede comunque, secondo le fonti più attente, almeno 110.000 missili e razzi sul confine verso Israele. L’Iran, tra il confine del Litani e l’asse Bekaa-Golan, ne ha almeno 3800. Ma comunque l’80% di questi vettori di Teheran non può ancora raggiungere, oggi, con sicurezza operativa il territorio israeliano.

La Siria, salvo quello che hanno lasciato, con mille occhi, i russi, ha ancora pochi vettori propri, e tutti controllati direttamente dal centro per le Forze Aerospaziali di Mosca. Ovvio che l’unico potenziale spendibile, per Hezb’ollah, sia oggi il suo sistema missilistico e militare nel Libano meridionale. Che ha occhi anche iraniani e, per quel che ci risulta, una catena a doppio comando per i missili più rilevanti. I tempi sono stretti, quindi, per una “guerra tra le guerre” contro Israele degli sciiti libanesi, iraniani e siriani. Ma, se il centro di gravità del “partito di Dio” è così evidente e piccolo e solo libanese, Israele potrà sempre attaccare in massa e in brevissimo tempo, bloccando la risposta di Hezb’ollah e minacciando implicitamente gli eventuali alleati della Shi’a libanese. Quindi il problema, per il “partito di Dio”, è anche quello di essere pronti a una guerra efficace contro Israele, ma senza mai mettere in campo il territorio libanese, che potrebbe diventare un necessario safe haven dopo le prime salve di Gerusalemme. Quindi, una concreta possibilità è quella che Hezb’ollah, Iran e una quota di siriani si creino i loro gruppi di guerriglia su tutta la linea del “corridoio” Bekaa-Golan e Iraq-Libano, per distribuire lo sforzo contro Gerusalemme e evitare l’immediata eliminazione del loro centro di gravità da parte di Israele. In Siria ci sono, attualmente, circa 20.000 foreign fighters sciiti, anche se l’Iran ha sempre dichiarato di averne chiamati e addestrati almeno 180.000. Mobilitazione, quindi, inevitabilmente lenta, facile obiettivo di interdizione da parte delle forze aeree israeliane. La quantità dei soli vettori di Hezb’ollah è però sufficiente per saturare le difese israeliane. Ma la qualità della salva e la sua precisione, malgrado i recenti sostegni di Teheran, lascia ancora a desiderare. Ancora, l’unica possibilità per l’Iran e il Libano sciita contro Israele è oggi quella di lanciare un attacco limitato, per poi utilizzare la diplomazia e le reti internazionali degli affari e delle influenze per contenere la forza della risposta di Gerusalemme. E, quindi, una buona possibilità per lo stato ebraico è quella di sfruttare, o sostenere, la tendenza di Teheran a innescare un conflitto non-convenzionale, ma con la evidente possibilità che il conflitto siriano o libanese si espanda direttamente, fin dall’inizio, anche sul territorio iraniano.

Quindi, potremmo pensare ad uno sforzo ulteriore di Israele per, parafrasando Lord Ismay per la Nato, “tenere gli americani dentro”, ma perfino anche i “russi dentro”, ma ancora allontanare Hezb’ollah dalla linea del confine del Litani e dell’asse Bekaa-Golan, ben oltre gli 80 chilometri già richiesti da Israele. Se la Russia rimane, come è ormai certo, in Siria, allora Mosca non avrà alcun interesse ad una guerra lunga in Siria o in Libano. E, quindi, potrebbe separare lentamente le sue forze da quelle sciite e siriane, oppure interdire alcune aree alla guerriglia sciita che l’Iran ha già chiamato in Siria. Ma, in ogni caso, i Servizi militari di Gerusalemme hanno già segnalato la presenza delle forze iraniane dal confine con Israele verso il nord e l’est della Siria, con una forte pressione militare siriano-libanese e iraniana che avverrà, quasi certamente, intorno alle prossime elezioni politiche israeliane del 9 aprile. Subito dopo, Gerusalemme dovrà valutare la proposta di Donald J. Trump per una pace definitiva tra Israele e il mondo palestinese. Una pace che, quindi, cambierà tutta la formula strategica del grande Medio Oriente. Quindi, non è difficile prevedere che la Striscia di Gaza diverrà un’area di guerra conclamata. Messa in atto dai palestinesi e dei loro sostenitori iraniani. Già in questi giorni si sono verificati incidenti di rilievo al confine tra la Striscia e Israele; quindi la tensione elettorale a Gerusalemme non potrà non essere un ulteriore innesco di fortissime e future azioni politico-militari a Nord e a Sud.

Al confine nord, tra Bekaa e Golan, vi saranno ulteriori tensioni, che vedranno azioni su territorio israeliano da parte delle organizzazioni della guerriglia sciita. Sia Hezb’ollah che le Brigate Al Qods dei “Guardiani della Rivoluzione” di Teheran sceglieranno il momento giusto per colpire con i loro missili lo stato ebraico, ovviamente olo quando vi sarà il massimo della tensione verso la Striscia di Gaza. O, anche, ma non è una alternativa, sulle linee di confine tra Autorità Nazionale Palestinese e Israele. Nulla vieta poi che le organizzazioni sciite possano usare come scudi le postazioni russe che, naturalmente, non parteciperanno mai alle operazioni dei loro alleati sirio-iraniani o libanesi contro Gerusalemme. Le organizzazioni jihadiste palestinesi opereranno, sempre durante il periodo elettorale israeliano, soprattutto tra la Giudea e la Samaria; e magari saranno perfino appoggiate dalla Federazione Russa, che gioca ancora la carta dell’unità palestinese sia in concorrenza con Teheran, sia per organizzare un appoggio a Mosca da parte del mondo sunnita. Ma niente vieta di pensare che Mosca abbia anche un qualche “campione” politico all’interno dell’agone elettorale israeliano. Non a caso, la prima Conferenza per l’Unità Palestinese ha avuto inizio il 13 febbraio, a Varsavia, con ben 60 paesi invitati e la proposta iniziale di mediazione da parte degli Usa. Ma si è, proprio in questi giorni, dall’11 al 13 febbraio, organizzata una nuova Conferenza, a Mosca, unicamente inter-palestinese, con la partecipazione di Hamas e delle altre sigle del jihad sunnita. Cosa vuole Mosca, da queste operazioni? Intanto, i russi vogliono evitare che vi sia una nuova egemonia iraniana in quest’area che, da sempre, la Russia coltiva. E per scopi evidenti, che sono cambiati di poco dalla fine della guerra fredda.

Poi, la Federazione Russa vuole prendersi il sostegno geopolitico di quest’area palestinese unificata, per diventare il vero broker di una nuova pace mediorientale, mettendo così fuori dalla porta sia gli Usa che i ben più sciocchi “mediatori” della ignara e ormai comica Unione Europea. La scommessa della Federazione Russa è quindi, come si direbbe in matematica, un minimax: raggiungere l’obiettivo primario, ovvero l’egemonia russa su tutto il Medio Oriente, con il minimo sforzo, ovvero la trattativa sistematica con tutti gli attori. Mosca chiederà, molto probabilmente, allo stato ebraico di diminuire la pressione militare a Est e a Sud, ma solo per sostituirla con una propria e futura “forza di dissuasione” ai bordi dei vari confini. Utilizzando tutti gli alleati della Russia, naturalmente. Il premier israeliano Netanyahu, nei suoi prossimi incontri con Putin a Mosca, il 21 febbraio prossimo venturo, discuterà di queste tematiche. Ma Siria e Iran non saranno certamente i soli argomenti della discussione bilaterale con Putin. Quindi, lo ripetiamo, le forze iraniane, sciite libanesi, i proxies della guerriglia sciita che Teheran ha chiamato in Siria, le forze speciali iraniane e quelle di Bashar el Assad stanno allontanandosi dal confine con Israele per raggrupparsi nel Nord e nell’Est della Siria, fino ai confini con l’Iraq. La notizia non è affatto buona, per i decisori di Gerusalemme. L’Iran, con i suoi gruppi “rivoluzionari” chiamati dall’Afghanistan, dall’Iraq e perfino dal Pakistan, ma anche gli Hezb’ollah e i corpi speciali dei Pasdaran si allontanano oggi e rapidamente dal Golan e, quindi, di conseguenza, diventano inattaccabili da parte delle forze israeliane.

È ovvio che ciò accada in funzione dell’abbandono delle postazioni da parte delle forze Usa, abbandono che l’Iran vuole capitalizzare rapidamente e in pieno, togliendo forze dalla Siria e, quindi, raggiungendo una piena profondità strategica in Iraq, un Paese dal quale i missili iraniani possono comunque raggiungere il territorio israeliano. Quindi, il programma di Teheran è quello di lasciare al confine, siriano-israeliano le varie milizie, i suoi proxies sciiti e una quota di Hezb’ollah, come se fossero vari cuscinetti; per poi coprirsi stabilmente dagli attacchi di Gerusalemme e rendere, comunque, difficile il controllo militare del Nord di Israele da parte delle sue stesse FF.AA. Che non potrebbero controllare le operazioni remote, se non quando è troppo tardi. Quindi, Israele è oggi obiettivo primario di missili che sono in possesso del Jihad palestinese, a sud e a est, delle forze iraniane e sciite in Iraq, di Hezb’ollah a nord e, ancora, di Hamas nella Striscia di Gaza. Per non parlare poi delle reti iraqene dell’Iran e di parte dei suoi proxies sciiti. Sarà una guerra su più fronti e con centri di gravità diversi da quelli consueti.


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