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La Consulta bacchetta la democrazia basata sul deficit

La Corte costituzionale, con la sentenza numero 18 del 2019, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la disposizione della legge di stabilità 2016 che consente agli enti locali in deficit strutturale di indebitarsi fino a trenta anni, per far fronte al disavanzo di spesa corrente. L’incostituzionalità è stata dichiarata in relazione agli articoli 81 e 97 della Carta fondamentale, sotto il profilo della lesione dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, nonché del contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilità nell’esercizio del mandato elettivo.

La Corte ha osservato che il principio dell’equilibrio di bilancio non corrisponde ad un formale pareggio contabile, essendo intrinsecamente collegato alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita non solo attraverso il rendiconto di quanto realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate. E ha rilevato che l’ordinamento contabile prevede, in via graduata: a) l’immediata copertura del deficit entro l’anno successivo al suo formarsi; b) il rientro entro il triennio successivo all’esercizio in cui il disavanzo viene alla luce, in collegamento con la programmazione triennale di bilancio; c) il rientro in un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel corso del quale il disavanzo si è verificato.

In sostanza, la correttezza contabile vuole che si ponga rimedio al deficit al più presto, per evitare che gli squilibri finanziari si sommino nel tempo, producendo un dissesto irreparabile. Nel contempo, la rimozione del deficit non deve superare il periodo di programmazione triennale né quello di scadenza del mandato elettorale, affinché gli amministratori possano presentarsi in modo trasparente al giudizio dell’elettorato al termine del loro mandato, senza lasciare eredità finanziarie onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati. E questo, secondo il giudizio della Corte, anche per evitare che una lunga dilazione temporale dell’esposizione debitoria finisca per confliggere con principi di equità intergenerazionale, posto che su gli amministrati futuri vengono a gravare risalenti e rilevanti quote di deficit. Sul punto la Consulta è netta: “l’indebitamento deve essere finalizzato e riservato unicamente agli investimenti, in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei costi e dei benefici recati nel tempo alle collettività amministrate”.

In sintesi la Corte costituzionale richiama il legislatore al rispetto dell’equilibrio di bilancio, della responsabilità democratica degli amministratori pubblici, dell’equità tra le generazioni. Un richiamo riferito agli enti locali ma che, con le differenze di posizione istituzionale, può essere rivolto anche agli amministratori al governo della nazione: l’Italia ha un alto deficit strutturale e si espone sui mercati finanziari con prestiti a lungo termine, anche per sostenere la spesa corrente, i cui oneri di rimborso vanno oltre il periodo di programmazione triennale di bilancio e quello quinquennale di legislatura, ricadendo su futuri Parlamenti, governi, cittadini.


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