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Libertà prescrittiva del medico e accesso alle terapie. La versione di Amoroso

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Libertà prescrittiva del medico e sostenibilità del sistema sanitario. Non è facile trovare un equilibrio fra queste due esigenze e molte sono le questioni aperte da analizzare per individuare una soluzione ottimale che efficienti la governance farmaceutica ma che mantenga il focus sul benessere del paziente come obiettivo primario da perseguire. Formiche.net ne ha discusso con Claudio Amoroso, componente del direttivo della Fondazione Fare (Federazione delle associazioni nazionali degli economi e dei provveditori) e presidente dell’Associazione regionale economi Abruzzo e Molise.

Ritiene che nel nostro sistema vi sia una limitazione della libertà prescrittiva del medico?

In alcuni casi, credo di sì: la presenza di un solo brand quale aggiudicatario di gara da parte delle Centrali regionali di acquisto finisce inevitabilmente per limitarla, se manca una previsione per la continuità terapeutica, poiché ingerisce sulla possibilità del clinico di scegliere fra diverse terapie, come dovrebbe poter fare. Qualunque prodotto risulti in gara in caso di lotto unico, implica una scelta limitata per il medico, che può di conseguenza prescrivere l’unico prodotto aggiudicato in prima battuta battitura.

Esistono strumenti forniti al medico per “liberarsi” da questo vincolo?

In teoria, il medico possiede lo strumento della motivazione che gli consente di scegliere più o meno liberamente la terapia da prescrivere. Giustificando la propria richiesta, dunque, un medico può richiedere un farmaco differente da quello aggiudicatario. Questo obbligo, però, finisce per gravare proprio sul clinico, che deve ogni volta motivare, anche con una una corposa relazione clinica, la scelta di un farmaco che magari rappresenta evidentemente la soluzione migliore per un paziente, impattando tra l’altro sul tempo, già limitato, che il medico può dedicare ai propri pazienti. Con un solo brand aggiudicatario, infine, l’approvvigionamento di altri farmaci non aggiudicatari può risultare piuttosto complesso anche qualora definiti preferibili dal medico prescrittore.

Vi sono possibili soluzioni da un punto di vista normativo?

Sicuramente l’accordo-quadro, alternativo alla soluzione dei lotti tradizionali, presenta alcuni vantaggi, poiché consente di salvaguardare la libertà prescrittiva del medico garantendogli la possibilità di attingere a più prodotti senza dover richiedere separatamente l’acquisto del farmaco non aggiudicatario. Tra l’altro, garantisce il mantenimento di una pluralità di operatori in concorrenza, limando così il rischio che vi sia un unico fornitore esclusivo.

Crede che la logica dei silos ottimizzi la governance farmaceutica? O forse una visione olistica e più dinamica della spesa sanitaria potrebbe generare un efficientamento della stessa?

Credo che la creazione dei silos rappresenti un elemento debilitante, poiché va a classificare la spesa farmaceutica, che è unica, in diversi contenitori, impedendo il trasferimento dei fondi e la condivisione delle economie tra un silos e l’altro. È auspicabile che vi sia un unico contenitore e, laddove si realizzano delle economie, che queste siano riutilizzate all’interno della spesa farmaceutica per prodotti – innovativi e oncologici – ad alto costo, che stentano a entrare nella disponibilità delle singole aziende.

La differenza di accesso ai farmaci su base regionale viola in qualche modo alcuni dei principi fondamentali della nostra Costituzione, in primis quello di uguaglianza. Cosa si può fare in merito e quali sono le possibili soluzioni per ovviare a questa criticità?

Sicuramente vi è una diversità tra le varie Regioni. L’Italia, in teoria, ha un organismo nazionale, la Consip, che potrebbe governare l’intera nazione creando uniformità. Occorre dire Purtroppo però che non tutte le Regioni vi aderiscono, mantenendo la propria autonomia e la propria capacità contrattuale che spesso risulta migliore. Ciò determina ovviamente grandi differenze, il che implica che in alcuni prontuari vi sia un farmaco che in altri non è presente.

Quindi cosa si può fare? Come si può intervenire?

Trovare una soluzione non è facile. Ricordiamoci che oggi si parla sempre più spesso di regionalismo differenziato, per cui concetti quali uniformità e omogeneità forse difficilmente incontrerebbero l’assenso pieno delle Regioni. Probabilmente dovrebbe essere Aifa a fornire indicazioni più pressanti al fine di salvaguardare un’equivalenza nazionale. Ritengo comunque che anche in tal senso l’accordo-quadro possa essere vantaggioso, poiché mette a disposizione più terapie, riuscendo a creare automaticamente a livello nazionale un filo conduttore che assicuri in qualche modo alle stesse Regioni gli stessi prodotti.

A proposito di farmaci biologici, qual è un possibile equilibrio fra sostenibilità del sistema sanitario nazionale e massimizzazione del benessere dei pazienti?

Credo che la strada verso l’equilibrio si possa percorrere iniziando con lo stabilire un prezzo d’asta giusto e compatibile con le esigenze di tutti i competitor, onde evitare che se ne mini la partecipazione massiva. Credo poi che risulti fondamentale, a fronte della forte deregulation che stiamo vivendo, garantire un periodo di stabilizzazione. Ricordiamo, ad ogni modo, che nelle sue ispirazioni la legge 232/2016 vuole non solo mirare a un contenimento della spesa, ma anche garantire la disponibilità di più terapie. Per cui, qualora alla fine si canalizzasse tutto sul primo aggiudicatario, si finirebbe comunque per minare l’obiettivo prefissato dalla legge.

La logica delle sanzioni per i clinici che spendono troppo o, ancora più incisivamente, dei premi per i clinici chi spendono meno, potrebbe generare un circolo vizioso molto pericoloso per la salute dei pazienti?

Alcune aziende hanno imposto su indicazioni regionali, degli obiettivi ai propri direttori, in particolar modo sull’uso dei biosimilari. Questi obiettivi risultano fondamentali per garantire una sostenibilità del sistema, ma rischiano di condizionare il prescrittore in maniera eccessiva, il che a mio parere non va affatto bene. Anche perché è già il medico, in scienza e coscienza, che sceglie a parità di efficacia il farmaco meno costoso, così come più volte ricordato dalla giurisprudenza, collaborando, in tal senso, alla sostenibilità del sistema.

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