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Dalle stelle alle stalle. La delusione di Travaglio per il cambio linea di M5S

“Per salvare Salvini, i 5 Stelle danno se stessi”. Il Movimento 5 Stelle non è più, come un tempo, diverso dai partiti tradizionali, ma si è lasciato contagiare dopo solo un anno di governo, perdendo “la stella polare della legge uguale per tutti”. Parola di Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano che nel commento odierno pubblicato sul suo giornale (dal titolo piuttosto esplicativo “Movimento 5 Stalle”) non risparmia le critiche alla scelta della base pentastellata chiamata ad esprimersi sull’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini. Gli iscritti al Movimento sono stati consultati nella giornata di ieri, e il responso, reso pubblico in serata, ha certificato che secondo la base “deve essere negata l’autorizzazione a procedere” (59,05% dei voti contro l’autorizzazione) che verrà votata oggi in Giunta al Senato.

La critica del direttore del Fatto, da sempre vicino alle istanze del Movimento 5 Stelle, parte dal voto su Rousseau – e dagli utenti che hanno commentato i vari post sul Blog delle Stelle – per arrivare, poi, ai vertici del Movimento. “È bastato meno di un anno di governo perché il virus del berlusconismo infettasse un po’ tutto il mondo 5Stelle – scrive Travaglio -. E l’impietoso referto del contagio è facilmente rintracciabile nelle dichiarazioni dei senatori che già da giorni volevano a tutti i costi salvare Salvini e nei commenti sul Blog delle Stelle dei loro degni iscritti che li hanno seguiti anziché fermarli sulla strada dell’impunità”. Ma ad essere sbagliata, scrive il direttore del Fatto, è stata la decisione di affidare alla base una decisione “che avrebbero dovuto assumere, senza esitazione alcuna, il capo politico Di Maio e il suo staff”.

Il Movimento, aggiunge Travaglio, si è lasciato influenzare dai “capricci” dell’alleato di governo Matteo Salvini, che è riuscito a “spaccarlo a metà” e a “decidere la linea politica del primo partito d’Italia”. Non sono bastate neanche le dichiarazioni dei sindaci Raggi, Appendino e Nogarin che nel Fatto di ieri si pronunciavano a favore dell’autorizzazione a procedere (salvo una precisazione da parte di Raggi, che ha sottolineato il suo pieno sostegno alla linea scelta da Luigi Di Maio). Non risparmia critiche, il direttore del Fatto, neanche sulla scelta di formulazione del quesito, su cui aveva ironizzato lo stesso Beppe Grillo su Twitter negli scorsi giorni (no per dire sì, sì per dire no). “Qualcuno avrebbe votato diversamente se il caso Diciotti fosse stato presentato sul blog in maniera corretta e veritiera, e non nel modo menzognero e truffaldino studiato apposta per subornare gli iscritti – si legge -. Ma la perfetta identità di vedute fra la maggioranza degli eletti e il quasi 60% degli iscritti votanti è un dato di fatto da prendere in considerazione per quello che è: i vertici hanno ormai la base che si meritano, e viceversa”.

“Da ieri – scrive in conclusione Travaglio – il M5S non è più il movimento fondato dieci anni fa da Grillo, Casaleggio e decine di migliaia di militanti. È qualcosa di radicalmente diverso, che ancora non conosciamo appieno e di cui dunque non possiamo immaginare il destino. Ma che non promette nulla di buono”. Non è questione di destra o sinistra, chiude Travaglio, con una certa delusione di fondo per una creatura che ha visto – come ha scritto lui stesso – “berlusconizzarsi”: “Se il M5S perde la stella polare della legge uguale per tutti, gratta gratta gli resta ben poco, perché quello era il fondamento di tutte le altre battaglie, l’ubi consistam della sua diversità, anzi della sua alterità rispetto ai vecchi partiti. I quali non mancheranno di rinfacciarglielo a ogni occasione: ‘Visto? Ora siete come noi. Benvenuti nel club’. Dalle stelle alle stalle”.

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