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I negoziati tra Cina e Stati Uniti procedono bene. E Trump eviterà nuovi dazi

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“Progressi sostanziali”, così ha commentato il presidente Donald Trump i colloqui tra le delegazioni di Stati Uniti e Cina che stanno cercando di trovare un qualche genere di accordo per risolvere la controversia commerciale avviata apertamente da più o meno due anni, ma considerata una delle principali problematiche che l’America si trova a soffrire da decenni (tra l’altro “progressi sostanziali” è la stessa scelta semantica fatta dalla Xinhua, che però non ha citato direttamente Trump).

La Casa Bianca ha annunciato che slitterà l’ultimatum fissato per il primo di marzo, dopo del quale i dazi doganali su 200 miliardi di dollari di beni prodotti in Cina e importati dagli Stati Uniti sarebbero dovuti aumentare del 15 per cento. È una questione sostanziale, perché la data era stata unilateralmente fissata dallo stesso Trump dopo il vertice con l’omologo Xi Jinping all’ultimo G20, ed è stata probabilmente la leva con cui l’americano ha portato i negoziati fin qui e su cui i cinesi hanno scelto di dialogare.

Da alcuni giorni i delegati inviati da Pechino sono a Washington, guidati dall’inviato speciale Liu He, che ha personalmente incontrato Trump nello Studio Ovale venerdì – da quel giorno le voci sul buon esito delle trattative hanno via via preso più consistenza, fino all’annuncio del presidente domenica sera.

Secondo le informazioni che circolano a proposito dei negoziati, gli Stati Uniti avrebbero ottenuto garanzie sull’impegno cinese a lavorare sul disavanzo commerciale (quello tra import ed export), calmierandolo con aumenti di acquisti di merci Made in Usa – a cominciare dal settore dell’agricoltura (per esempio: la Cina è il principale acquirente di soia al mondo, di cui alcuni stati americani sono grandi produttori, e questi saranno scelti da Pechino come clienti preferenziali).

Sul tavolo gli argomenti più caldi riguardano la protezione della proprietà intellettuale e il trasferimento di tecnologia. Due aspetti su cui Washington accusa Pechino di attività non limpide, con le quali (furti di know-how e forzature, attività di spionaggio e hacking) la Cina ha aiutato il proprio sviluppo nel settore hi-tech. Il Dragone nega le accuse, e per questo è difficile intavolare un punto di contatto, ma secondo Trump la strada si può trovare.

I colloqui sono fluidi, ma non ci sono per ora documenti definitivi co-firmati fa notare una fonte del New York Times, se non memorandum di intesa parziali – Trump ha detto che nella sua speranza ci sarebbe di firmare un accordo complessivo entro marzo, quando ospiterà Xi nella sua tenuta di Mar-a-Lago, in Florida (il luogo dell’incontro, scrive il Nyt, rappresenta una sensibilità per l’americano: se il cinese non accetterà di firmare sulle concessioni che Trump richiede, potrebbe crearsi una situazione imbarazzante per gli Stati Uniti, con il Prez che rimarrebbe senza deal a casa sua).

Nel frattempo continueranno gli incontri seguendo il piano a step che finora ha portato frutti (nota: i mercati hanno già accolto positivamente gli ultimi sviluppi). Dopo la visita della delegazione cinese a Washington questa settimana, toccherà di nuovo agli americani viaggiare a Pechino – tempistica non definita ancora, ma di certo prima del faccia a faccia presidenziale previsto per le ultime settimane di marzo.

Saranno meeting line-by-line in cui preparare eventuali documenti per soddisfare completamente tutte le voci della questione. Una di queste, su cui s’è già trovato un’intesa formale, riguarda la moneta cinese: Pechino si è impegnata a evitare operazioni di svalutazione che potrebbero aiutare i propri interessi commerciali, seguendo una richiesta degli americani (una valuta più debole renderebbe i prodotti cinesi meno costosi all’estero e diminuirebbe l’impatto delle tariffe statunitensi).

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