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Punire i pagamenti digitali non è di stimolo all’economia turistica. Parla Frigerio (Airbnb)

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Airbnb dovrà indagare la situazione fiscale dei privati cittadini che usano la piattaforma e, sulla base della situazione personale di ciascun proprietario, trattenere o meno la cedolare secca del 21%, per consegnarla all’Agenzia delle entrate. Lo ha deciso il Tar del Lazio respingendo il ricorso fatto dalla società che offre un servizio di affitti per brevi periodi in case messe a disposizione dai proprietari, agendo come intermediario, in merito all’obbligo di riscossione e versamento della cedolare secca secondo quanto previsto dalla legge che regolamenta gli affitti brevi.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha affermato che la “Legge Airbnb” porta gli intermediari a fuggire dai pagamenti, a svantaggio dei consumatori che pagherebbero con una minore offerta e minori tutele e garanzie. Sarà veramente così? Formiche.net ne ha parlato con l’amministratore delegato di Airbnb Italia Matteo Frigerio.

Frigerio partiamo dal chiarire che cos’è Airbnb. 

La premessa è che Airbnb è una piattaforma digitale di viaggio dove chi ha la disponibilità di un alloggio può condividerlo, diventando così un “host”. Stiamo parlando di 200mila persone che offrono case, appartamenti o camere singole in vari modi: semplici locazioni brevi oppure case per vacanza, bed & breakfast, agriturismi, boutique hotel e molto altro. Questi spazi sono messi a disposizione da privati – direttamente o tramite intermediario.

Avete annunciato che intendete fare ricorso presso il Consiglio di Stato, anche ai fini dell’eventuale interessamento della Corte di Giustizia Europea. Come si è arrivati a ciò?

Il legislatore nel 2017 ha varato una legge, il DL 50/2017, che rischia di creare uno svantaggio competitivo solo per Airbnb. Si tratta di una legge per tassare i redditi dei proprietari di case che occasionalmente affittano su una piattaforma.

Cosa si chiede alla piattaforma?

Si chiede ad Airbnb di indagare la situazione fiscale dei privati cittadini che la usano e, sulla base della situazione personale di ciascun proprietario, trattenere o meno la cedolare secca del 21%, per consegnarla all’Agenzia delle entrate. La norma assegna così (unico caso al mondo) compiti di ritenuta solo su alcuni host, penalizzati rispetto a tutti gli altri, e versamento di tali imposte ad una piattaforma online. Le piattaforme non sono un’agenzia immobiliare e non hanno un rapporto fiduciario o un mandato da ogni locatario: si tratta di mondi non accomunabili. Questa richiesta crea anche uno svantaggio di mercato solo ad Airbnb perché è l’unica piattaforma che richiede il 100% dei pagamenti online, e lo fa per garantire la qualità del servizio al consumatore. A differenza di altri operatori, che usano ancora il denaro contante e restano non tracciabili.

Quindi?

Airbnb si è vista perciò costretta a presentare ricorso al Tar. Un atto dovuto a difesa delle centinaia di migliaia di cittadini proprietari di case e della sostenibilità della nostra attività in Italia, senza comunque rinunciare a cercare un dialogo con il governo per poter superare l’attuale quadro normativo.

Secondo voi la sentenza punisce chi non usa il contante. Mi spieghi meglio

Airbnb è l’unica piattaforma interessata dalla legge. Alcuni competitor hanno smesso di accettare pagamenti online piuttosto che adeguarsi. Basta questo a far capire che la norma rappresenta un chiaro disincentivo ad utilizzare il digitale e strumenti di pagamento digitali. Rischiamo un ritorno al contante, ammesso che si possa dire che il nostro Paese l’abbia mai lasciato. Banca d’Italia ha stimato che 7 pagamenti su 10 nel vacation rental avvengono ancora in contanti.

Cosa dobbiamo temere?

C’è il rischio che molti utenti decidano di rivolgersi altrove. Chi ricorre agli agenti immobiliari o Airbnb si vedrebbe applicato il regime (in teoria facoltativo) della cedolare secca. Inoltre, resta svantaggiato nei flussi di cassa in caso debba trovarsi a sostenere grosse spese: oggi si vedrebbe decurtato mese per mese il 21% di imposta, mentre i clienti di altri intermediari avranno disponibilità di tutte le somme andando a denunciare i redditi in dichiarazione solamente l’anno successivo.

Quali garanzie offre la vostra piattaforma per il rispetto alla legalità?

Tutti gli ospiti che viaggiano con Airbnb pagano il soggiorno con carta di credito. A garanzia di qualità del servizio e nell’ottica di tutelare il consumatore, ossia per prevenire qualsiasi frode, Airbnb trattiene gli importi e attende fino all’avvenuto check-in per versarli agli host. Il versamento è tracciato, tipicamente si tratta di un bonifico bancario. Il contante è completamente bandito.

Airbnb è impegnata a collaborare con le istituzioni a tutti i livelli per la diffusione di norme chiare e semplici in materia di home sharing. Siamo inoltre impegnati in numerose azioni di sensibilizzazione al rispetto delle normative: comunicazioni dirette agli host Airbnb, pagine su come ospitare responsabilmente, campagne online e seminari sul territorio.

Il ministro Centinaio ha detto che la sentenza del Tar “conferma quanto noi abbiamo sempre sostenuto, la lotta all’abusivismo e all’illegalità è prioritaria per il rilancio del turismo”. Come rispondete?

Il ministro ha avviato un interessante tavolo con noi e altre piattaforme online per superare l’attuale impianto normativo, che effettivamente “non funziona” per via della sovrapposizione di leggi nazionali e regionali. Siamo totalmente d’accordo con il ministro, e abbiamo più volte ribadito la nostra volontà di collaborare per sostenere la sua iniziativa per una maggiore legalità e semplificazione, attraverso l’istituzione di un codice identificativo unico nazionale.

Di cosa si tratta?

Riteniamo che l’istituzione di regole univoche e chiare a livello nazionale sia l’unica possibilità per prevenire l’illegalità, ma anche per fornire un adeguato sostegno alla tutela della pubblica sicurezza, per risolvere l’impasse in relazione alla materia fiscale e contrastare l’evasione. Anzi, cominciamo a pensare al codice come elemento di trasparenza anche fiscale: se funziona, come crediamo, allora le complicazioni attuali sul sostituto d’imposta sono a maggior ragione inutili.

In diversi Paesi è iniziato un percorso con i governi che va nella direzione di una collaborazione basata sulla maggiore trasparenza e condivisione in materia di dati, e all’incentivo alla digitalizzazione, allo “stare online” invece che tuffarsi nel contante: non c’è preclusione ad andare nella stessa direzione anche in Italia.

C’è chi dice che le nostre città si stanno snaturando. È così?

Siamo di fronte a una crescita del turismo internazionale senza precedenti, che ha risvolti importanti sulle destinazioni tradizionali come le città d’arte, ma che rappresenta al contempo una grande opportunità per i piccoli borghi o le aree più periferiche delle città che finora erano esclusi dai benefici di questa industria.

Degli oltre 120 milioni di arrivi turistici in Italia nel 2017 (Fonte Oss. Nazionale Turismo), 7,8 sono stati generati grazie a Airbnb. Una piccola parte (6,4%), nel complesso degli arrivi.

L’allarme degli albergatori e delle altre categorie interessate sarebbe dunque immotivato…

Su Airbnb è disponibile meno dell’1% degli oltre 32 milioni di immobili residenziali presenti in Italia (fonte Agenzia delle Entrate); crediamo si tratti di una dimensione tale da non poter influenzare significativamente la disponibilità di alloggi. Il mercato degli affitti a lungo termine in Italia ha dimensioni limitate, poiché 80% delle famiglie è proprietario della casa in cui vive. Istat spiega, inoltre, che il valore delle case in Italia continua a diminuire stabilmente dal 2012, danneggiando le famiglie che ancora oggi detengono la maggioranza degli immobili: quindi per alcuni, condividere la prima o la seconda casa può essere un modo di far fronte a costi di manutenzione e integrare il proprio reddito.

Quale conseguenza potrebbe derivare dall’applicazione della legge anche alla vostra piattaforma?

In un momento in cui il turismo internazionale cresce grazie alle piattaforme digitali, il rischio è che il nostro Paese resti indietro, se continuerà a far pagare gli affitti turistici con i contanti dentro a una busta.

Su questo tema c’è già stato un importante segnale di attenzione: infatti, secondo l’Antitrust, il DL 50 “potrebbe scoraggiare, di fatto, l’offerta di forme di pagamento digitale da parte delle piattaforme che, come noto, hanno semplificato e al contempo incentivato le transazioni online, contribuendo a una generale crescita del sistema economico”.

L’argomento del garante non potrebbe essere più chiaro: punire anziché incentivare i pagamenti digitali non è di stimolo all’economia turistica.

Negli altri Paesi non è così?

Siamo l’unico Paese in cui sia stato chiesto alle piattaforme di operare da sostituto. Si tratta di un caso isolato in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove la condivisione dei dati è il modello prevalente scelto dai legislatori, una scelta di trasparenza per contrastare illegalità ed evasione. Parliamo di una serie di dati che devono essere concordati con il legislatore per aiutarlo a svolgere il suo ruolo, ma trasmessi e trattati con le modalità previste dalla vigente legislazione in materia di privacy. Altra differenza sostanziale è la natura premiante e non punitiva del provvedimento che regola l’online. Se il digitale significa emersione, va incentivato, non perseguito, cooperando con le piattaforme. I casi di Danimarca, Estonia e Spagna dimostrano la nostra disponibilità a individuare soluzioni, anche innovative, per favorire il rispetto della legalità.

Quale sarà il vostro prossimo passo?

Aspetteremo l’esito del ricorso presso il Consiglio di Stato, anche ai fini dell’eventuale interessamento della Corte di Giustizia Europea.

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