Oggi il il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, riceve Nancy Pelosi, la speaker della Camera dei rappresentanti americana che sta guidando l’opposizione democratica contro la Casa Bianca di Donald Trump. Il viaggio è più o meno quello che il presidente americano aveva vietato a poche ore dall’imbarco qualche settimana fa, quando si era in pieno shutdown (il blocco delle attività degli uffici federali che segue la mancata approvazione della legge di bilancio annuale). Lo Studio Ovale aveva risposto di forza alla posizione severa presa da Pelosi, che aveva praticamente costretto Trump a rinviare il Discorso sullo stato dell’Unione proprio per ragioni di sicurezza collegate al blocco che le discussioni politiche sul budget avevano creato – e Trump aveva detto: va bene, ma allora nemmeno la speaker deve muoversi dagli Stati Uniti.
La presenza di Pelosi a Bruxelles è un segno di continuità nei rapporti trans-atlantici che non sarebbe niente di particolare se non fosse che il presidente degli Stati Uniti in questo momento si trova in una posizione piuttosto diversa, e per esempio sabato minacciava gli alleati Ue di liberare terroristi dell’IS europei catturati in questi anni di guerra al Califfato, se l’Europa non si fosse decisa a impegnarsi di più sul fronte anti-terrorismo comune. E se la democratica viaggia e incontra i vertici delle istituzioni europee, gli uomini di Trump – a cominciare dagli alti papaveri dell’amministrazione – preferiscono altre rotte. Un altro esempio: l’ultimo in ordine cronologico a sbarcare in Europa è stato il segretario di Stato, Mike Pompeo, che ha seguito una rotta più orientale, visitando Ungheria, Slovacchia e Polonia. Tre paesi del Gruppo di Visegrad che spesso hanno preso posizioni critiche rispetto all’Unione.
Differenze che sia da una parte che dall’altra piace marcare per dare continuità esterna a una polarizzazione interna che spacca la politica americana. Una diversificazione dei canali di contatto in Europa, la chiama Politico nel podcast “Bruxelles Playbook” – sebbene vale la pena ricorda che Washington lavora sempre e comunque per linee strategiche e quella con l’Europa, al di là di posizioni distruptive di Trump o necessità di riequilibrio sentite da anni, resta fondamentale. Però… Ieri Pelosi era già a Monaco, per partecipare all’annuale Conferenza sulla sicurezza, appuntamento internazionale di primissimo livello; la speaker ha avuto modo di tenere un rapido colloquio riservato con la cancelliera Angela Merkel in cui uno dei punti trattato pare sia stato quello legato al settore automobilistico tedesco, che potrebbe essere soggetto a tariffe speciali se l’amministrazione Trump decidesse di considerarne l’importazione una minaccia per la sicurezza nazionale, come scrive il solitamente serissimo Handelsblatt; e gli sherpa assicurano informalmente che il discorso avviato da Merkel lo proseguirà Juncker, perché l’automotive tedesco è considerato un plus strategico europeo.
La settimana in cui Pelosi arriva a Bruxelles è piuttosto interessante sotto l’ottica di allineamento strategico. Oggi, infatti, mentre la leader dei Democratici e terza carica dello Stato americano viene ricevuta da Juncker, nella capitale Ue si riunisce il Consiglio Esteri. I capi della diplomazia dei paesi membri hanno sul tavolo diversi dossier (per l’Italia presente il ministro Enzo Moavero Milanesi, che nell’ultima visita a Washington aveva sottolineato quanto tenere aperto il dialogo con i Democratici fosse fondamentale, anche se il governo che rappresenta ha posizioni diverse da quelle dei progressisti statunitensi; e, a proposito di continuità strategica, Moavero aveva visto Pelosi, dando piuttosto spazio al racconto del loro incontro, anche nell’ottica delle relazioni italo-americane).
Uno degli argomenti di cui si discuterà nella riunione ministeriale a Bruxelles è la Russia, e la possibilità di attivare nuove sanzioni contro Mosca per le aggressioni contro le unità navali ucraine nel Mar d’Azov (bacino ristretto sull’angolo nord-est del Mar Nero che è diventato oggetto geopolitico della contesa tra Ucraina e Russia). Si tratta di misure che l’Ue prenderà in partnership con gli Stati Uniti – in modo analogo a quanto avvenuto per la presa della Crimea e la guerra del Donbass – e su cui Pelosi rappresenta una posizione piuttosto allineata. Se la Casa Bianca è la parte degli apparati americani che cerca il colloquio con Mosca, il Congresso (dove i due partiti si muovono su traiettorie più classiche) ha posizioni più dure, al punto che questa amministrazione – che Trump aveva lanciato come quella della riapertura a Vladimir Putin, in mezzo al marasma del Russiagate – è stata finora severissima con il Cremlino.
Sempre a sfondo Russia, c’è la questione Nord Stream 2. Mercoledì si dovrebbe chiudere l’accordo per il gasdotto che collegherà la Russia e la Germania: l’Ue ha fatto una revisione alle legislazioni sul gas riducendo certi ostacoli che invece gli Stati Uniti vorrebbero alzati al massimo, dato che considerano l’infrastruttura una debolezza strategica per l’Ue, che esporrà di più l’Europa alle penetrazioni russe (e che renderà più complicata l’eventuale vendita di gas naturale liquefatto americano agli stati europei). Il dossier è uno di quelli su cui le posizioni democratiche non sono troppo diverse da quelle di repubblicani e Casa Bianca: congiuntura simile a quella che riguarda la Cina, altro argomento da trattare con l’Europa.
Martedì Pelosi e la delegazione di dieci congressisti che la accompagna (saranno anche allo Sharp, la sede della Nato) incontreranno anche l’Alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, e là – oltre un punto sulla ministeriale del giorno precedente – si parlerà anche di Iran. I Democratici americani hanno sostenuto la firma dell’accordo sul nucleare del 2015 con convinzione, e lo stesso ha fatto Mogherini, da cui però Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti. Al Congresso, anche tra i Dems, non sono mai mancate comunque posizioni critiche, perché fondamentalmente il contrasto alle ambizioni egemoniche iraniane è uno dei punti centrali delle strategia americana in Medio Oriente. Ora Pelosi avrà un compito di bilanciamento, con l’Europa che vuole mantenere vivo il deal, e Washington che è pronto a prendere provvedimenti anche contro gli alleati se non si allineeranno sul confronto a Teheran.
Nel fine settimana, Juncker e Mogherini, dopo le riunioni con Pelosi, vedranno i vertici della Lega Araba a Sharm el Sheikh (l’organizzazione ha sede in Egitto). L’incontro sarà importante anche perché si parlerà di alcune posizioni dure che l’Europa ha preso nei confronti dell’Arabia Saudita, in una sorta di sovrapposizione con altre similari prese dalla Camera statunitense guidata da Pelosi.