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Il Sud che è necessario al Nord (e viceversa)

Mezzogiorno

La battaglia politico-culturale contro ogni tentativo affrettato di introdurre in Italia un federalismo ‘squilibrato’ – al di fuori cioè di un rigoroso quadro normativo nazionale che disciplini con limpidezza le ulteriori e specifiche competenze da trasferire alle Regioni conferendo ad esse le risorse con cui gestirle e senza un fondo perequativo in favore del Mezzogiorno – sta tentando di impedire una frattura fra un Nord più sviluppato che vorrebbe trattenere il suo surplus fiscale e un Sud con una ricchezza prodotta inferiore che verrebbe a perdere gran parte dei trasferimenti di risorse perequative provenienti dalle Regioni settentrionali.

Il dibattito in realtà sta appassionando in queste ultime settimane solo addetti ai lavori, pochi parlamentari, singoli studiosi e alcune testate giornalistiche.
“Secessione dei ricchi” ha scritto qualche osservatore che – difendendo le pur legittime ragioni dell’Italia meridionale – ha dimenticato però di aggiungere ciò che, invece, lo scrivente ritiene necessario sottolineare quando si lotta per un federalismo equo e solidale: e cioè che nell’Italia meridionale, nel mentre si chiede il pieno rispetto della Costituzione, bisogna però combattere contemporaneamente una battaglia durissima contro tutte le manifestazioni di arretratezza, inefficienza, inettitudine, malgoverno, estremismo ecologista che non sono certo imputabili al Nord e alle sue classi dirigenti, ma solo ed esclusivamente a settori di Istituzioni e aree della società civile locale, molto spesso rivelatesi del tutto inadeguate a misurarsi con la modernità e le sfide della competizione globale.

Ne vogliamo alcuni esempi clamorosi? Dalle vicende della Xilella in Puglia al rifiuto ostinato dell’estremismo ecologista di ogni esplorazione dei fondali marini alla ricerca di giacimenti di petrolio e di gas sicuramente esistenti al largo delle coste meridionali, dalle inefficienze amministrative di alcuni grandi Comuni che non riescono neppure ad incassare i tributi locali – favorendo così larghe fasce di evasione – alle gestioni non proprio esemplari di numerose strutture sanitarie pubbliche, dalla miopia di tante pmi che non fanno sistema, rifiutando aggregazioni consortili e di rete che potrebbero incrementarne la competitività e la presenza sui mercati italiani ed esteri, a settori della scuola e delle Università ancora chiusi in ambiti didattici e scientifici del tutto asfittici. Quanto Pil non si produce, o peggio si distrugge a causa di questi comportamenti di settori delle classi dirigenti e della società civile del Sud ?

Allora, se può essere giusto evidenziare il rischio di una “secessione dei ricchi”, è altrettanto doveroso denunciare ogni forma di ‘accattonaggio’ meridionalistico, combattendo con determinazione tutte le negatività prima ricordate, ricordando anche che nell’Italia meridionale operano forze della modernizzazione – nelle istituzioni, fra le imprese, nel mondo della ricerca, nel sistema bancario – che sono in grado di misurarsi con successo con i loro competitors delle regioni più avanzate del Nord.
Allora è proprio questo Mezzogiorno moderno e competitivo che ha più titoli per continuare a sollecitare risorse con le quali contribuire alla creazione della ricchezza ma per l’intero territorio nazionale, e non per assicurarsi una sopravvivenza assistita, consumando pil che non produce e che viene generato al Nord.

È questo Mezzogiorno – in cui operano tante piccole, medie e grandi aziende ormai affermate sui mercati mondiali – che, ad esempio, può difendere a pieno titolo alcuni strumenti di incentivazione comunitaria come i contratti di programma e di sviluppo che hanno favorito investimenti massicci nelle regioni del Sud nell’ultimo decennio.  È il Mezzogiorno che ha difeso lo stabilimento siderurgico di Taranto – contro chi invece vorrebbe chiuderlo – e le sue funzioni strategiche nello scacchiere produttivo nazionale ed europeo che può esigerne il pieno risanamento ecologico e la modernizzazione degli impianti.

Insomma il Sud che produce, che compete, che esporta, che innova non vuole confondersi con il vecchio Sud accattone che sinora si è rivelato incapace di camminare con le proprie gambe; e pertanto è il Sud moderno che vuole allearsi sempre di più con il Nord più avanzato per competere insieme nel mondo. E questo è già possibile perché nell’Italia meridionale sono presenti tantissimi gruppi industriali settentrionali ed esteri che collaborano con cluster diffusi di aziende locali: insieme, costituiscono punte di eccellenza della competitività italiana nel mondo: è questo allora il Sud che è necessario anche al Nord, assicurandogli mercato, materie prime e beni intermedi. Questa unità nella modernità allora bisogna difenderla sia al Nord che al Sud. questa è l’unità necessaria al Paese, non la zavorra delle sacche di inefficienza e di arretratezza ancora diffuse nel Sud che chiedono solo assistenza.


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