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Polonia e Israele in crisi diplomatica. Varsavia non parteciperà al summit a Gerusalemme

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Netanyahu ha tentato di costruire un’alleanza pro israeliana in Europa avvicinandosi ai Paesi dell’ex blocco sovietico. Come parte di questa politica, Israele ha partecipato al summit di Varsavia sulla politica in Medio Oriente, organizzato da Washington per creare una coalizione anti-Iran in Europa (coi Paesi dell’Est) e in Medio Oriente, e per premere sulla normalizzazione delle relazioni tra Paesi arabi e Israele pur pendente la questione palestinese.

La maxi coalizione anti-iraniana non si è formata. Oman e Arabia Saudita hanno fatto capire che non ci sarà normalizzazione senza Stato palestinese (che sarebbe da crearsi sulle linee de ‘67). E Netanyahu è tornato a casa con una crisi diplomatica con la Polonia.

Il premier israeliano avrebbe detto che i polacchi hanno collaborato coi nazisti, causando le critiche del presidente polacco Duda. L’ambasciatrice israeliana a Varsavia ha spiegato che Netanyahu è stato erroneamente citato da un giornale che ha poi corretto l’articolo, quando nel contesto avrebbe detto che nessuno è stato portato in giudizio per aver accusato di collaborazionismo, citando la legge polacca che proibisce di dire che lo stato o la nazione polacca sono stati complici dei nazisti. La legge aveva inizialmente introdotto un crimine, poi reso solo torto civile se le affermazioni sono esternate “pubblicamente e contro i fatti”. Le modifiche alla legge sono state introdotte dopo una negoziazione tra Gerusalemme e Varsavia che si è conclusa con una criticata posizione comune che media tra le diverse visioni storiche.

Rientrata la prima crisi, ne scoppia una seconda. Il neo nominato ministro degli Esteri ha detto in due giorni due affermazioni che hanno scatenato l’ira polacca: alla radio ha detto che la Polonia divenuta il più grande cimitero del popolo ebraico, e alla tv ha detto che i polacchi hanno collaborato coi nazisti, citando poi lo statista Shamir: “i polacchi succhiano l’antisemitismo con il latte materno.”

Il premier polacco Morawiecki ha annunciato che la Polonia non parteciperà al summit dei Visegrad in Israele alla luce delle affermazioni razziste del ministro degli Esteri. Sarebbe stato il primo summit dei mitteleuropei ex comunisti a tenersi fuori Europa. Dopo il ritiro della Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia hanno confermato che si terranno dei G2G. Lo stesso summit era stato criticato perché rappresenterebbe secondo alcuni un avvicinamento da parte di Israele a governi di estrema destra che hanno tendenze o politiche revisioniste così come posizioni blande se non condiscendenti per quanto riguarda l’estrema destra.

È chiaro che con un’Europa che poco sostiene Israele in campo internazionale, Gerusalemme cerca alleati e amicizie nei posti più disparati. Chi invece loda la politica di Netanyahu è chi ritiene che il vero pericolo ideologico oggi giorno sia il sentimento anti-israeliano e il nuovo antisemitismo di sinistra, che per molti è indirettamente legittimato dalle politiche ostili ad Israele. Così i Paesi regnati da governi sovranisti e nazionalisti diventano amici di Israele e l’avvicinamento di Gerusalemme è considerato anche un vero cambiamento dell’Europa verso gli ebrei. La questione è però che questi Stati non hanno necessariamente cambiato le loro politiche verso Israele nelle organizzazioni internazionali, né hanno tutti cambiato molto il loro modo di vedere la storia o il rapporto con le piccole comunità ebraiche che ancora vivono nel centro ed est Europa.

La politica pro israeliana sia spesso basata su una visione sovranista e nazionalista che considera Israele uno Stato parimenti etnocentrico, ammirato per il militarismo, lodato per l’alta natalità, e ritenuto un esempio di come andrebbero trattati “gli altri”. Ad appoggiare questa visione anche le innumerevoli distorte e false credenze su Israele Stato di apartheid, Israele Stato conservatore, Israele teocrazia.

Erroneamente si è creduto finora che l’avvicinamento a Israele fosse anche un cambiamento di visione ideologica della storia e delle relazioni verso gli ebrei. Ma il pro-israelismo sovranista o dettato da una politica filo-americana in funzione anti-russa non è una garanzia di revisioni del passato.

La Polonia rivendica il passato sofferto sotto occupazione nazista, che non è molto insegnato né considerato. Ma una certa politica che domina oggi il discorso identitario non ammette nessuna critica né autocritica all’antisemitismo di prima e dopo la Shoah. Questo elemento si rivela centrale nella costruzione non solo dell’identità polacca oggi ma a quanto pare anche dell’interesse nazionale. Il Ministero della Cultura parla di fondare un nuovo museo ebraico che avrebbe come focus la collaborazione tra ebrei e partigiani polacchi durante l’epoca nazista. Tutto questo mentre il governo ha rifiutato il rinnovo del contratto al direttore de museo Polin sulla storia dell’ebraismo polacco dopo alcune mostre criticate perché mettevano in cattiva luce la Polonia (compresa una mostra sull’ondata di antisemitismo del ‘68).

L’opposizione polacca ha criticato il governo senza riferimenti diretti alla questione dell’antisemitismo, ma puntando il dito contro il discorso d’odio imperante nei media, e la vicinanza all’America che crea problemi alla Polonia.

Il caso polacco sarebbe forse da considerarsi nell’insieme delle manifestazioni di antisemitismo oggi in Europa. La vicinanza a Israele non può sostituirsi alla necessità di fare i conti col passato e con le responsabilità nella Shoah, mentre fare i conti col passato non può nemmeno sostituirsi alla necessità di combattere l’antisemitismo oggi. I tre elementi sono congiunti: la percezione di Israele, la responsabilità nella Shoah, e le politiche contro l’antisemitismo contemporaneo.


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