La storia dell’umanità è segnata dal conflitto tra ragione e pregiudizio. Il discrimine è dato dalla risposta alla complessità dell’esistenza: la ragione si pone in posizione aperta e riflessiva, facendosi carico delle difficoltà di analisi e sintesi dei problemi, così pagando lo scotto della sofferenza di non riuscire a dare una risposta a tutto o di dover dare risposte dolorose; il pregiudizio offre risposte semplici e preordinate, attivando un meccanismo psicologico che allevia l’angoscia di fronte ai grandi temi.
Le società primitive e preindustriali avevano strutture socioeconomiche semplificate, tali da poter essere regolate sulla base di un credo. Le società moderne sono troppo complesse per poter essere gestite con parametri predefiniti, intrinsecamente inadatti a consentire analisi e sintesi adeguate alla complessità socioeconomica. Nonostante tale evidenza, il ventesimo secolo, di fronte a un profondo travaglio socioeconomico, in vari casi ha dato risposte ideologiche, producendo governi condizionati dal pregiudizio politico o addirittura totalitarismi, di destra e di sinistra.
Nel terzo millennio, al tramonto delle ideologie storiche, di fronte alle crisi socioeconomiche e alle sfide globali, riemergono le strutture del pensiero predefinito e l’ideologia si trasforma in populismo, integrando una nuova forma di pensiero preconcetto, aggiornata ai tempi moderni.
L’ideologia populista respinge analisi complesse e “aperte” della realtà, e si rifugia in preconcetti basati sulla contrapposizione tra popolo ed elité, nonché sulla strumentalizzazione della rabbia sociale, riesumando tematiche del passato: nazionalismo, egualitarismo, conflitto sociale, statalismo. E le declina malamente, senza cultura, mediazione dei valori e degli interessi delle società, disponibilità al confronto, accettazione della realtà, assunzione di responsabilità, consapevolezza delle conseguenze delle azioni politiche. Con effetti spesso distruttivi: fuga di capitali, emigrazione di persone e imprese, rottura del patto sociale, isolamento internazionale, impoverimento generalizzato. Ma l’attrazione populista resta forte, perché è semplice e fa leva su sentimenti primari: la deresponsabilizzazione di se stessi, la colpevolizzazione degli altri, l’odio sociale.
Nella dottrina populista ci sono ricette semplici per tutto, in grado di portare in breve tempo a un mondo migliore, dove ognuno è più felice. La competizione internazionale crea problemi? È sufficiente chiudersi agli scambi internazionali e l’economia nazionale rifiorisce. Ci sono diseguaglianze tra i cittadini? Si redistribuisce la ricchezza senza crearne di nuova, col lavoro o l’impresa. La crisi socioeconomica spaventa? No problem, ci pensa lo Stato, facendo debiti per comprare o mantenere grandi imprese in difficoltà. Non c’è lavoro? Si possono superare i vincoli di bilancio, creando occupazione pubblica improduttiva.
I populisti negano la realtà e non si assumono responsabilità. Le cose non vanno bene, nonostante il governo del popolo? Sono fake news, ma comunque basta attendere, il futuro è meraviglioso e, in ogni caso, almeno lo si può rendere amaro ai nemici. I dati macroeconomici penalizzano il Paese? È un complotto internazionale di chi si oppone alla rivoluzione populista. L’economia va a rotoli? E’ colpa delle istituzioni finanziarie, delle imprese, dei poteri forti. I giudizi degli esperti sono negativi? Ma che andassero al diavolo, non capiscono niente, e poi non servono grandi competenze per gestire un Paese, serve il buon senso della gente comune.
I populisti hanno il dito sempre puntato contro qualcuno. C’è la crisi? La colpa è dei governi del passato, di chi sfrutta i lavoratori, della casta, delle imprese che si arricchiscono ingiustamente, dello Stato che sta dalla parte dei potenti, dei nemici storici del popolo, dentro e fuori i confini nazionali. La gente è arrabbiata? Ha ragione, si deve far sentire contro i privilegi dei ricchi, contro gli Stati e le organizzazioni internazionali che soffocano le nazioni e ostacolano il progresso. L’isolamento diplomatico? La vendetta dei poteri forti.
I populisti combattono su molti fronti, da Caracas a Parigi, passando per Roma se necessario, contro avversari interni e internazionali, restando uniti, sempre all’erta contro i nemici del cambiamento.