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Roma, tra cantieri infiniti e mai cominciati. Tre esempi eclatanti

Roma

A Roma, ai “cantieri infiniti” se ne aggiungono altri, mai incominciati, che riguardano edifici storici di grande valore, anche economico, posti in luoghi strategici, ormai abbandonati da anni. Tra tanti, due ospedali: il San Giacomo e il Forlanini, che si trovano in aree centrali della città. Il primo, addirittura all’interno del Tridente barocco, tra Piazza del Popolo e Piazza Augusto Imperatore.

Il San Giacomo viene dismesso nel 2008 ancora in piena attività e il Forlanini tra il 2008 e il 2015, entrambi senza un’idea definita sul loro possibile riuso. L’esigenza della Regione Lazio è soprattutto quella di “fare cassa”, liberandosi dei costi molto elevati per la loro gestione, che sarebbero cresciuti ulteriormente, se si fosse proceduto all’ammodernamento delle loro strutture edilizie e sanitarie. La possibilità di “fare cassa” si scontra tuttavia con due impedimenti alquanto consistenti: il vincolo architettonico per il Forlanini e, per il San Giacomo, in aggiunta a questo, anche quello della destinazione d’uso.

Il San Giacomo, ospedale degli incurabili, di origine medievale, rinnovato nel XVI secolo, proviene dalla donazione della Famiglia Salviati che pone, però, il vincolo del mantenimento della destinazione d’uso; altrimenti l’immobile sarebbe tornato alla proprietà. L’ospedale Forlanini, inaugurato nel 1934, non è sottoposto allo stesso vincolo funzionale, però è condizionato dal rispetto dell’impianto architettonico che presenta una qualità molto pronunciata, sia nella composizione degli spazi sia nell’uso dei materiali. Rispettare queste due condizioni rende quasi impossibile il suo frazionamento; questo provocherebbe, a meno di un progetto fortemente vincolato sui modi di procedere nelle ristrutturazioni, una frantumazione dell’armonia stilistica dell’insieme. Nel caso del Forlanini è portata avanti anche l’ipotesi di una città della Pubblica amministrazione che coinvolgesse le università romane, ma l’impegno economico necessario ha fermato sul nascere ogni iniziativa. Lo stato di abbandono ha accelerato il degrado, favorendo furti e vandalismi al suo interno, con occupazioni abusive che hanno portato fino alla morte violenta di una ragazza accampata nei sotterranei.

Un altro caso a Roma molto significativo è costituito dallo Stadio Flaminio, in abbandono da anni, ormai soggetto a degrado avanzato e, fino a poco tempo fa, addirittura sommerso di rifiuti. Anche questo immobile, come gli altri due, presenta qualità architettoniche di valore, che vanno conservate e mantenute, soprattutto pensando a un suo inserimento nel progetto urbano che include l’Auditorium, il Palazzetto dello Sport, il Museo MAXXI e le recuperande Caserme di Via Guido Reni, tutto a ridosso del Villaggio Olimpico.

Come è facile desumere dagli esempi presentati, ma altri se ne potrebbero aggiungere, il tema del recupero e della conservazione delle opere di architettura di qualità è consistente e richiede impegno e chiarezza di intenti che necessitano di tempi che vanno ben oltre quelli delle scadenze elettorali. Affrontare questo tema non costituisce un lusso che si può rimandare, perché affronta contemporaneamente anche la soluzione di alcune esigenze funzionali, centrali per la città: avere un presidio sanitario nel centro storico di Roma sarebbe tutt’altro che secondario e rispetterebbe il vincolo della donazione Salviati; destinare un complesso di circa 125mila mq a sede amministrativa e di ricerca collegata alle università comporterebbe un arricchimento per tutti; recuperare uno stadio di pregio come il Flaminio, progettato da Nervi in occasione dei Giochi Olimpici del 1960, avrebbe una ricaduta importante per la città, avviando verso una possibile soluzione anche il tema degli stadi di club.

Il piano, come detto, molto impegnativo economicamente, deve trovare il sostegno di strategie forti, capaci di non perdere vigore anche quando subentreranno altre amministrazioni nel governo della città. Dovranno legare all’interno di un interesse concreto e reciproco la compartecipazione dell’intervento pubblico e di quello privato. Tutte le ipotesi di project financing finora avviate hanno prodotto scarsi risultati. Ritengo tuttavia che questa debba essere la strada attraverso la quale procedere per affrontare i problemi più impegnativi. Naturalmente alla determinazione dell’amministrazione pubblica, molte volte debole, deve anche corrispondere una capacità imprenditoriale privata che, almeno a Roma, ha finora mostrato pochezza di visione e di prospettiva.

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