Il presidente iraniano Hassan Rouhani ha respinto le dimissioni presentate dal suo ministro degli Esteri, Javad Zarif. Le dimissioni erano state annunciate inaspettatamente domenica sera, via Instagram. Zarif è la figura più forte della squadra di governo iraniana, è un interprete attivo delle visioni moderate della presidenza Rouhani, è riconosciuto a livello internazionale come un interlocutore e un valido diplomatico (ha costruito l’impalcatura dell’accordo sul nucleare Jcpoa e ha successivamente seguito la riapertura delle relazioni con i paesi europei); ma proprio per queste sue posizioni è finito molto spesso sotto attacco da parte della linea dura – quella che si rifà alle interpretazioni più reazionarie della guida teocratica del paese – che lo accusa di essere troppo influenzato dall’Occidente.
“Penso che le sue dimissioni siano contrarie agli interessi del paese e io non lo accetto”, ha detto il presidente iraniano. “Il rifiuto delle dimissioni da parte di Rouhani è sicuramente emblematico del sostegno da parte della presidenza all’operato e alla visione espressa dal proprio ministro degli Esteri”, spiega a Formiche.net Annalista Perteghella, Iran Desk dell’Istituto per gli studi di politica internazionale.
“Ma ancora più importanti – aggiunge Perteghella – sono state le dichiarazioni pubbliche di Qassem Suleimani, che ha detto che Zarif è la persona responsabile della politica estera iraniana, e che durante il suo mandato di ministro degli Esteri è sempre stato e sarà sempre supportato dai funzionari del governo, specialmente dalla Guida (Ali Khameani, la guida suprema che sta a capo della teocrazia iraniana, ndr)”.
Suleimani è il generale che comanda le Quds Force, il settore specialistico dei Guardiani della Rivoluzione, l’unità militare teocratica che prende ordini dalla Guida. Il suo ruolo all’interno del paese è importantissimo, Suleimani è considerato un eroe, ha un grosso consenso e capitale politico, ed è spesso descritto come “l’eminenza grigia” dietro alle attività clandestine con cui l’Iran diffonde la propria influenza nella regione mediorientale – usando anche gruppi politici paramilitari, tipo gli Hezbollah in Libano.
Per certi versi, quello del generale al ministro è un appeasement (anche se probabilmente forzato e per questo solo apparante, ndr) che arriva da un elemento che è visto come l’architetto della politica estera non ufficiale di Teheran. Quella per esempio che l’Iran ha condotto in Siria, dando sostegno al regime di Damasco attraverso la mobilitazioni di unità regolari e proxy politico-ideologici come appunto gli Hezbollah, per ottenere in cambio interessi geopolitici. Proprio la Siria, secondo alcune ricostruzioni, è stata il motivo che aveva portato Zarif alle dimissioni, arrivate poco prima della mezzanotte di una giornata in cui a Teheran era arrivato in una rarissima visita ufficiale il rais Bashar el Assad, accolto da Khamenei alla presenza del generalissimo e non del ministro.
“Dopo una tale esclusione, affermano [alcune] fonti, con quale credibilità Zarif può continuare a esercitare il ruolo di ministro degli Esteri?”, si chiedeva Perteghella in un’analisi pubblicata a caldo sul sito dell’Ispi. Il dossier siriano, fin dal 2011 (inizio delle proteste, a cui seguì la risposta repressiva del regime che ha portato alla guerra civile), è stato da sempre oggetto di scontro tra politica/diplomazia – con Zarif che cercava, come già sul programma nucleare, di creare uno spazio negoziale (sfociato poi nel processo di Astana) – e potere militare (appaltato ai Pasdaran).
Suleimani è emanazione della linea teocratica, e per questo, aggiunge Perteghella, le sue “parole difficilmente sarebbero state pronunciate senza la pressione della Guida suprema Khamenei”.
La crisi politica che le dimissioni del capo della diplomazia avevano aperto a Teheran a pochi giorni dall’anniversario dei quarant’anni della rivoluzione che ha portato alla creazione della Repubblica islamica, sembra rientrata. Almeno momentaneamente, perché, ha spiegato l’analista italiana la mossa di Zarif può essere stata “un tentativo di sbloccare una serie di situazioni in cui il ministro, e con lui l’ala politica dei moderati, è vittima di una sfiancante opposizione da parte degli ultra-conservatori, e reclamare il potere nelle mani del ministero degli Esteri”.
“Per ora quindi Zarif segna un punto nello scontro di potere in atto da mesi, ma la partita non è certo finita”, conclude l’analista italiana.
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