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Quando la lotta politica sfrutta (male) anche una spy story coreana

coreana

Se qualcuno avesse ancora un dubbio su chi sia l’unico uomo politico di riferimento in Italia, la vicenda della figlia di un diplomatico nordcoreano lo sta dimostrando: Matteo Salvini. Solo che stavolta Salvini c’entra poco o niente.

La provvisoria ricostruzione dei fatti è la seguente: Thae Yong-Ho, ex numero due dell’ambasciata nordcoreana a Londra oggi rifugiatosi a Seul, ha detto a un’agenzia di stampa sudcoreana che nel novembre scorso la figlia di Jo Song-gil, ex ambasciatore reggente dell’ambasciata nordcoreana a Roma, sarebbe stata rimpatriata a forza dai servizi segreti come reazione alla scomparsa del padre, che proprio da novembre ha fatto perdere le tracce. L’ipotesi è che alla ragazza sia stato impedito di raggiungere i genitori. Una nota del ministero degli Esteri italiano ha spiegato che Jo Song-gil e sua moglie avevano lasciato l’ambasciata a Roma il 10 novembre e che sua figlia avrebbe chiesto di tornare in patria dai nonni, per cui personale femminile dell’ambasciata l’avrebbe riaccompagnata. Il ministro Enzo Moavero Milanesi si è limitato ad aggiungere che la Farnesina sta seguendo la vicenda d’intesa con l’intelligence e ovviamente fin dall’inizio se ne sta interessando anche il Copasir.

In questo quadro, l’opposizione di destra con Fratelli d’Italia, quella di sinistra con Pd e Leu e perfino l’alleato di governo M5S con una marea di parlamentari stanno chiedendo conto a Salvini di quanto accaduto. Eppure il titolare della Farnesina è Moavero e, soprattutto, i servizi segreti dipendono dal presidente del Consiglio che certamente si starà interessando. Infatti da Forza Italia chiedono un’informativa urgente al governo. Che c’entra il ministro dell’Interno? È davvero curioso che Lia Quartapelle, capogruppo del Pd in commissione Esteri della Camera, gli rivolga un’interrogazione sostenendo che “quando deve garantire davvero sicurezza a chi è perseguitato dimostra di essere distratto, tanto da lasciare che servizi segreti di un altro Paese agiscano indisturbati da noi”: si può timidamente obiettare che non spetta alla Polizia di Stato fare controspionaggio?

Ancora più singolare (ma politicamente significativo) il comportamento di Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri e componente dell’ala dura del Movimento 5 stelle, che tira fuori la vicenda di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov che nel maggio 2013 fu prelevata da agenti di polizia con la figlia di 6 anni in una villa di Casalpalocco, vicino a Roma, ed espulsa due giorni dopo. Il caso investì l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, provocò dimissioni ai vertici del Viminale e nel prossimo settembre si aprirà il processo ad alcuni funzionari di Polizia di primo piano. Stavolta, però, non si tratta di un’operazione della Polizia italiana.

Fare le pulci ai governi è compito primario della stampa e l’approccio avuto da Salvini nell’ultimo anno ha prodotto molto materiale per gli articoli. Stavolta, però, non ha una responsabilità diretta su quanto avvenuto, anche se non gli mancheranno informazioni al riguardo. Piuttosto l’episodio dimostra che l’opposizione sfrutta male anche le occasioni che si presentano e che un pezzo della maggioranza cerca di indebolire l’alleato. Dopo averlo salvato da un processo.



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